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I ciociari a Pontida: gara di selfie sotto la scritta “Lombardia autonoma”, incrociando la storia della mancata secessione

La trasferta dei 150 partiti dalla provincia di Frosinone è apparsa spensierata nonostante il luogo sia simbolo della frattura Nord/Sud

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Ma che ci fanno 150 ciociari e cassinati sul pratone di Pontida, disorientati sotto la scritta “Lombardia autonoma”, sistemati all’ombra dello spadone di Alberto da Giussano che in quei luoghi “prende vita”, sventolato nelle bandiere, stampato sui gadget, spille e bicchieri? Domanda solo apparentemente speciosa perché, come direbbe Tonino Di Pietro, che da quelle parti aveva casa e faceva il pendolare con Milano ai tempi del pool Mani Pulite: a ben guardare ‘non ci azzeccano proprio’. Non perché non possano sentirsi degli attivisti arrivati tutti insieme nel movimento ultima versione, con la stampigliatura “Salvini premier”. Ma per l’atteggiamento da trasferta beata in quel di Pontida che non è un luogo ma l’identificativo di un popolo che ha gridato sempre quel che pensa di quest’Italia, considerata una prigione per “nazioni” inconciliabili.

Bossi, Miglio e il segno del Carroccio rimasto impresso nel movimento

Negli anni Ottanta tra le valli bergamasche, il bresciano, il varesotto, Venezia e Milano nasceva la federazione di leghe locali (Lega lombarda, Liga Veneta eccetera), ma Umberto Bossi decise di lì a poco di fonderle nella Lega Nord. E’ il 1991 quando celebra il suo primo congresso. Obiettivo: dar vita, anche attraverso la secessione, a uno Stato federale articolato in tre macroregioni: Nord, Centro, Sud. Le province bianche del settentrione ammainano lo scudo crociato e issano la bandiera leghista con percentuali bulgare: città e paesi – peraltro ben amministrati dai democristiani di lì – passano al Carroccio con l’80-90% dei consensi. I partiti tradizionali spariscono. L’ideologo bossiano è Gianfranco Miglio: la sua tesi forte era basata sul ritenere l’Italia “figlia illegittima di una congiuntura storica particolare: ha mescolato insieme popoli che dovevano restare separati”.

C’erano i tre cantoni della federazione o le pallottole a basso costo

Certo, una vaga similitudine la si può trovare nella provincia di Frosinone, fondata nel 1927 mettendo insieme pezzi di Stato Pontificio e di Regno delle due Sicilie e delineando confini che ancora oggi faticano a fare i conti con le tradizioni di territori differenti. Ma, al di là di questo, c’è poco da identificarsi con chi persegue l’autonomia e la secessione nella certezza d’essere nazione diversa dalla nostra, nella convinzione che il Nord debba andare avanti da solo e liberarsi della palla al piede dello Stato centrale e dei “terroni” improduttivi e pure malavitosi. Bene che vada – secondo la strategia portata avanti dallo stato maggiore del Senatur all’epoca – si poteva istituire una federazione con tre cantoni. Nulla di più. Se poi i meridionali non ci fossero stati, era bene ricordare che le pallottole da quelle parti – grazie alle industrie concentrate nella Val Trompia -, costano molto poco. Anzi, Bossi si spinge oltre, profilando la reazione delle istituzioni democratiche unitarie all’eventuale distacco del Settentrione: “Per me la vita di un giudice che volesse indagare sulla Lega vale 300 lire”, scandisce senza remore.

Alberto da Giussano ovunque e la scritta “Frosinone” molto appariscente

Davvero Matteo Salvini, che di questa storia è figlio, ha cancellato le sue stesse radici politiche ed ideologiche, gli insulti al sud, le accuse alla capitale accentratrice? Anche la comitiva guidata dall’ex sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani, dal primo cittadino in carica Riccardo Mastrangeli e dall’ex presidente del consiglio regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, ha sentito echeggiare nel grande spazio pieno di bandiere rosse e gialle con il leone di San Marco, il motivetto “Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta”? E davvero ha serenamente concluso di appartenere a quel contesto politico e culturale? Al fianco dei tre esponenti citati, hanno partecipato all’attività di sparaflesciarsi selfie-ricordo anche l’assessore regionale Pasquale Ciacciarelli, il consigliere provinciale Andrea Amata, il vicesindaco del capoluogo Antonio Scaccia, l’assessora Rossella Testa, la consigliera Francesca Chiappini, l’assessore Angelo Retrosi e i consiglieri Marco Sordi e Dino Iannarilli. Tutti attorno allo striscione “Frosinone”, unica parola a caratteri cubitali circondata dai simboli della Lega Salvini Premier. Decisamente appariscente. Anche troppo.

Il “gioco” del Senatur che alla fine ha salvato tutti dalla guerra civile

Così la comitiva, presa dalla giornata di svago, calpestava quell’erba tra sorrisi e battute come si fa nelle occasioni simili, mentre stava incrociando un pezzo non secondario della storia del nostro Paese, al tramonto della prima Repubblica. Ci sono state fasi che hanno sfiorato l’accendersi della guerra civile, mentre a sud e dalle nostre parti si guardava con curiosità e una certa irrisione e sottovalutazione al fenomeno leghista. Tra i passaggi più pericolosi si possono citare i serenissimi, col loro rozzo mezzo corazzato “tako”: occuparono a mano armata Piazza San Marco ed il campanile della basilica nella notte fra l’8 ed il 9 maggio 1997. In quegli anni di insurrezione strisciante da noi e nel Mezzogiorno nessuno ha mai sospettato che proprio Umberto Bossi, al di là delle frasi e degli intenti incendiari proclamati a parole, alla fine avesse evitato il peggio, aprendo col suo modo di fare una valvola di sfogo al malessere profondo, alla rivolta contro il Paese che non funziona e dilapida risorse, contro il sud che continua ancora oggi a vivere grazie ai trasferimenti di risorse dalla Lombardia e dalle regioni più ricche.

“Roma ladrona”, insulti e questione meridionale irrisolta

Ecco perché c’è poco da spararsi le pose sotto al palco bergamasco dei “Liberi e forti”. C’è piuttosto da guardare con attenzione e riflettere su quel che pensa la parte di Paese più progredita. C’è da stare attenti, andando oltre gli slogan, gli atteggiamenti coreografici, le chiacchiere in libera uscita. Pontida è il luogo giusto per comprendere quanto l’attacco a “Roma ladrona” ci riguardi molto da vicino e sia tutt’altro che archiviato, perché va a gettare luce impietosa su inefficienze, sperperi, arretratezze che si concentrano a sud di Firenze e che investono anche e non di meno il Lazio meridionale e la nostra provincia. Salvini ora pensa soprattutto a sfruttare le tensioni esistenti nella società civile, come quelle nei confronti degli immigrati, delle guerre, dell’Europa e dei processi di globalizzazione, strizzando l’occhio a Trump e Putin. Ma se davvero interessa il futuro dei nostri territori è importante prendere sul serio quel che ci resta della lezione antipatica e abrasiva di Bossi. Al di là e oltre gli insulti a noi terroni. E non c’è niente da ridere né sulla prima e manco sui secondi.

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