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‘Le strade del male’: il mondo feroce di Pollock tra gotico americano e realismo brutale

La recensione del romanzo d'esordio dell'autore che nel 2011 irrompe sulla scena letteraria americana con potenza e originalità

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Con ‘Le strade del male’ (The Devil All the Time), nel 2011 Donald Ray Pollock irrompe nel panorama narrativo americano con la forza di un autore già pienamente formato. Il suo esordio possiede la densità e la risonanza morale di un’opera meditata per decenni: un romanzo che sembra emergere dalle radici più profonde e scomode dell’America rurale, erede di una tradizione gotica che da Faulkner e Flannery O’Connor arriva fino ai territori più feroci di Cormac McCarthy. Pollock, con la sua prosa scarnificata ma magnetica, costruisce un universo narrativo dominato da un male quotidiano, naturale, quasi geologico, che non esplode: sedimenta. E proprio da questa sedimentazione nasce uno dei debutti più implacabili e affascinanti degli ultimi anni.

La trama

Il romanzo segue, tra Ohio e West Virginia, le vicende di persone comuni travolte da traumi, povertà, fanatismi religiosi e violenze sotterranee. Il giovane Arvin Russell cresce in un ambiente in cui la fede si piega fino a trasformarsi in ossessione, mentre altre figure – predicatori visionari, assassini itineranti, poliziotti corrotti – incrociano il suo destino in un intreccio di storie autonome che lentamente convergono. L’atmosfera resta costantemente sospesa, carica di tensione, senza mai anticipare la direzione dei fatti. Tutto procede come una lenta, inesorabile marcia verso un punto che il lettore percepisce, ma non può prevedere.

L’America rurale come teatro del disfacimento morale

Pollock non descrive semplicemente un luogo: lo restituisce come una condizione antropologica. I villaggi dimenticati, le strade fangose, le baracche che affiorano tra i boschi sono organismi vivi, impregnati di superstizione, isolamento e miseria. Qui il male non è un atto eccezionale, ma un’eredità culturale, un clima, un modo di respirare. Con precisione documentaria e sensibilità visionaria, Pollock crea un paesaggio che è al tempo stesso materiale e simbolico, dove la violenza diventa parte integrante dell’ecosistema sociale.

Una costellazione di personaggi irrimediabilmente umani

La forza del romanzo risiede nella sua galleria di figure spezzate, tutte scolpite con un’attenzione chirurgica. Arvin Russell è un protagonista tragico ma mai stereotipato; intorno a lui orbitano uomini e donne che incarnano forme diverse di smarrimento morale: predicatori che scambiano la follia per illuminazione, serial killer che confondono l’omicidio con un’esperienza estetica, figure marginali che cercano un appiglio in un mondo che non concede appigli. Non c’è compiacimento, né giudizio: Pollock osserva queste vite con la freddezza di un etnografo e la compassione di un narratore che conosce la dignità nascosta anche negli abissi più profondi.

La violenza come grammatica del quotidiano

In questo romanzo la violenza non diventa mai spettacolo. Pollock la tratta come un elemento strutturale dell’esistenza, una lingua parlata senza enfasi. La brutalità, per quanto frequente, non serve a scioccare: serve a rivelare. Rivela i limiti della moralità, la fragilità della fede, l’essenza più vulnerabile dei suoi personaggi. L’autore scrive con un distacco che amplifica l’orrore, ma lascia spazi minuscoli in cui affiora una scintilla di tenerezza, esile ma decisiva: la prova che anche nelle tenebre può resistere un gesto di umanità.

Una prosa scabra, intrisa di lirismo oscuro

Lo stile di Pollock unisce la severità della lingua rurale americana a un lirismo deformato e potentissimo. La sua prosa è asciutta, incisiva, costruita su frasi brevi, quasi percussive; eppure, tra le sue righe si aprono varchi poetici inattesi, spiragli di bellezza ruvida che fanno risuonare il romanzo come una ballata nera. La struttura polifonica, con i continui cambi di prospettiva, conferisce alla narrazione un respiro ampio da romanzo corale, senza mai rallentare la tensione.

Un debutto che lascia una ferita luminosa

“Qualunque cosa fosse accaduta, doveva sistemare le questioni in sospeso con suo padre che gli divorava il rancore e il cuore”.

Le strade del male non è soltanto un ottimo esordio, è una dichiarazione d’intenti. Pollock costruisce un microcosmo narrativo che travalica il confine del genere gotico-rurale e diventa meditazione sulla natura del male, sulla fragilità dei legami, sull’impossibilità di una redenzione semplice. È un romanzo che colpisce, scuote, e soprattutto rimane. Un’opera che incide come una lama, e che conferma Donald Ray Pollock come una delle voci più originali, coraggiose e necessarie della letteratura americana contemporanea.

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