Home Attualità L’inflazione ‘mangia’ i risparmi anche delle famiglie ciociare

L’inflazione ‘mangia’ i risparmi anche delle famiglie ciociare

Il Frusinate, stando al report dell'ufficio studi della Cgia, si trova al 72esimo posto tra le province italiane

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L’iperinflazione sperimentata nel biennio 2022-2023 si mangerà non solo i consumi, ma anche i risparmi delle famiglie italiane. I depositi subiranno una ‘sforbiciata’ da 163,8 miliardi di euro. A certificarlo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre

Ma come si è giunti a questo risultato? In primo luogo, la CGIA ha ipotizzato che i 1.152 miliardi di euro presenti nei conti correnti bancari non abbiano registrato alcuna variazione nell’arco temporale preso in considerazione.

In secondo luogo, dopo aver stimato che nel biennio 2022-2023 l’inflazione crescerà di quasi il 15 per cento (+8,1 l’anno scorso e +6,1 quest’anno), ha calcolato la perdita di potere d’acquisto dei nostri risparmi. L’esito emerso da questa elaborazione è “spaventoso”: praticamente ci troviamo di fronte a una patrimoniale da quasi 164 miliardi di euro che a ogni singolo nucleo familiare “costerà” mediamente 6.338 euro.

In questo report in Ciociaria si trova al 72esimo posto tra le province italiane, quindi molto in fondo alla classifica, con una stima di perdita biennale di ben 5.576 euro per famiglia.

A distanza di oltre 30 anni, molti ricordano ancora con grande sdegno il prelievo straordinario del 6 per mille applicato dall’allora Governo Amato sui conti correnti degli italiani. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, infatti, quella misura costò alle famiglie italiane 5.250 miliardi di lire, ovvero 2,7 miliardi di euro. Attualizzando questo importo, il prelievo si attesta a 5,3 miliardi di euro; praticamente un “sacrificio” economico 31 volte inferiore a quello stimato dall’Ufficio studi della CGIA (163,8 miliardi di euro) nel biennio 2022-2023.

Ora le banche devono alzare gli interessi sui depositi

Con un tasso di interesse praticato dalla BCE che lo scorso dicembre si è attestato per quasi tutto il mese al 2 per cento, ovvero, lo stesso di quello che avevamo nel febbraio del 2009, che effetti economici ha prodotto a un ipotetico correntista? Se 14 anni fa il tasso attivo era dello 0,75 per cento, 2 mesi fa si è attestato allo 0,12 per cento, “provocando” uno svantaggio per il risparmiatore dello 0,63 per cento. In altre parole, a fronte di 10 mila euro depositati nel conto corrente, rispetto al 2009 ci troviamo con 63 euro in meno in un anno. Se, come sostengono molti esperti, entro la fine del 2023 il tasso salisse al 4 per cento, raggiungendo lo stesso livello toccato tra il luglio 2007 e il giugno 2008, sui nostri ipotetici 10 mila euro depositati in banca perderemmo 107 euro. Non si tratta di cifre importanti, tuttavia se le banche tornassero a riconoscere un leggero aumento dei tassi attivi sulle somme libere depositate nei conti correnti, la clientela potrebbe almeno coprire i costi fissi.

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