C’è qualcosa di infinitamente potente nel gesto di dare un volto a una pigotta, la bambola di pezza dell’Unicef, dedicata a Serena Mollicone.
Perché non è solo una bambola. È un simbolo di tenerezza e giustizia. È una risposta dolce e dura allo stesso tempo, contro la violenza, l’omertà e l’indifferenza.
Serena aveva 18 anni quando è stata strappata alla vita. Un’età in cui si sogna, si ama, si litiga col mondo e si crede nel domani. E invece, quel domani per lei non è mai arrivato. Il corpo ritrovato nel bosco, lo scotch sul volto, i dettagli che ancora oggi fanno rabbrividire. E poi il dolore, lungo 24 anni, di una famiglia – in primis suo padre Guglielmo – che ha avuto il coraggio di non accettare il silenzio.

A distanza di quasi un quarto di secolo, siamo ancora qui a parlare di un processo che ricomincia da capo, di verità sfuggenti, di giustizia a passo lento. La Cassazione ha annullato le assoluzioni. Il 22 ottobre 2025 a Roma riparte tutto. In questo contesto, la pigotta con il volto di Serena è una carezza che brucia. Una bambola che non gioca, ma resiste. Che non consola, ma testimonia. È il segno che le nuove generazioni non vogliono più voltarsi dall’altra parte, che sanno che dietro ogni nome c’è una storia, e che ogni storia negata è una ferita collettiva.
Quella pigotta aiuterà i bambini poveri del mondo. E nel farlo, restituirà a Serena ciò che le è stato tolto: la possibilità di essere utile, di lasciare un’impronta, di essere madre, sorella, esempio. È una bambola, sì. Ma anche una piccola sentinella che veglia sulla memoria, sulla giustizia, sui diritti dei bambini. E oggi, grazie a quell’iniziativa voluta dal comitato provinciale Unicef di Frosinone e condivisa con la cugina Gaia Fraioli, la comunità di Arce e non solo può dire che Serena non è stata dimenticata. E non lo sarà. Finché ci sarà qualcuno capace di cucire a mano un volto per ricordarla.