La battaglia dei consulenti per stabilire l’utilità dei reperti si è consumata in aula a Roma, nel corso del processo in corte d’Assise d’Appello per la morte di Serena Mollicone, la diciottenne di Arce uccisa nel 2011.
“Per capire che c’è stata contaminazione (dei reperti ndr) basta vedere il filmato dell’esame sul cadavere eseguito dal medico legale Conticelli che ha tagliato e ha aperto la busta dell’Eurospin sul tavolo settorio e ha tagliato il nastro adesivo” ha ribadito più volte durante la sua deposizione il criminologo Carmelo Lavorino, consulente della difesa della famiglia Mottola. L’esperto ritiene che i frammenti di legno rinvenuti sul nastro adesivo che avvolgeva la busta di plastica nella quale era stata infilata la testa di Serena, appartenessero al bosco di Fonte Cupa dov’è stata rinvenuta domenica 3 giugno 2001.
A replicare alle teorie di Lavorino è stato il luogotenente Rosario Casamassima, all’epoca dei fatti in servizio al Ris, incaricato delle analisi microscopiche e chimiche sui nastri che avvolgevano il capo di Serena. “L’arma del delitto sarebbe la porta di un alloggio a trattativa privata della caserma di Arce. Porta contro la quale sarebbe stata spinta l’allora 18enne e che avrebbe provocato una frattura con la testa”.
I frammenti lignei trovati sul nastro adesivo che avvolgeva il capo di Serena con tracce di resina e colla sono coerenti per composizione con la porta e si sarebbero conservati intatti perché i nastri erano protetti dalla busta dell’Eurospin che avvolgeva la testa della ragazza che, come ricordato dal medico legale Cristina Cattaneo nelle precedenti udienze, avrebbe potuto essere salvata ed è morta dopo quasi sei ore di agonia.