Nelle ultime ore sono spuntati mille esodi incentivati tra gli stabilimenti Stellantis di Termoli, Melfi, Pomigliano d’Arco e Pratola Serra. C’è da scommettere che un altro scaglione arriverà anche da Piedimonte San Germano dove i lavoratori sono già ai minimi di sempre, 2465 calcolano alla Fiom-Cgil di Cassino. Ma c’è necessità di difendere l’automotive ed i posti di lavoro con fermezza e non, invece, darsi allo sport del cosa fare nei capannoni rimasti vuoti. L’avvertimento arriva da Andrea Di Traglia, segretario generale dei metalmeccanici della Cgil dell’area Frosinone-Latina.

“Ad oggi non c’è una data o una richiesta di incontro da parte datoriale – spiega il sindacalista riferendosi alla possibile ulteriore riduzione degli organici diretti della multinazionale -. È chiaro ed è evidente, però, che le intenzioni da parte di Stellantis sono quelle di proseguire il processo di desertificazione e dismissione che sta attuando da anni. È molto chiaro quello che sta succedendo negli stabilimenti. Un processo di svuotamento che non fa il paio con le cose dette ai tavoli ministeriali: penso al famoso incontro al Mimit del 7 dicembre scorso e all’audizione di John Elkann in Parlamento. Il piano industriale non c’è e siccome ne serviva uno a saturare le linee e dare lavoro a tutti, oggi si svuotano gli stabilimenti in base a quel che si sta producendo in questo momento. Non si incentiva l’acquisto di auto ma si incentiva la fuoriuscita di forza lavoro”.
L’intervista
- Piedimonte San Germano ha oltretutto la missione produttiva connessa ai destini di due marchi in piena eclissi: Maserati ormai è un fantasma di quel che era, Alfa Romeo riesce a fare qualche numero nelle vendite grazie alla Junior prodotta in Polonia. Che destino attende questi due brand e quindi anche il sito cassinate?
“Maserati è uscita completamente dai radar della produzione e anche delle vendite: a Cassino come a Modena e Torino i volumi sono pari allo zero. Il che ci fa temere per il Tridente e questo è un punto. Per quanto riguarda Alfa Romeo, bisognerebbe dire ai signori che si pubblicano mezze verità sulle classifiche delle auto vendute, che la produttività è legata a quella parte del brand montata a minor costo del lavoro all’estero: la Alfa Junior in Polonia. L’altra Alfa che ha fatto più numeri è il Tonale che esce da Pomigliano. Ma per quanto riguarda Cassino, che esprime l’altra metà della flotta del segmento premium e di lusso, lo stabilimento è fanalino di coda. Piedimonte è ormai ai minimi termini ed ha perso il 45% di produzione l’anno scorso, andando a peggiorare l’ulteriore crollo del 50% che già si era registrato nei 12 mesi precedenti. Doppio record negativo a ripetizione”.
“Ammortizzatori sociali ridotti a mo’ di morfina al malato terminale”
- Il 2025 corre veloce e senza prospettive, il 2026 vedrà solo l’incognita legata all’esordio del suv Stelvio in versione tutta elettrica. Di ibrido non si prevede ancora nulla.
“Siamo all’abbandono produttivo. Si era rimasti agli annunci sul lancio a fine 2025 della Stelvio elettrica. La Fiom ha sempre sostenuto che non c’erano queste prospettive ed il tempo ci sta dando, purtroppo, ragione. Perché non solo Stelvio non arriva entro l’anno ma è slittato al 2026. Tuttavia questo accadrà non nei primi mesi visto che sta slittando perfino verso la seconda metà del prossimo anno. Adesso, se consideriamo che intercorreranno, bene che vada, sei mesi dal lancio della Stelvio elettrica a quello della Giulia elettrica, si può comprendere come ci troviamo di fatto ad aver prorogato i contratti di solidarietà per altri 12 mesi. Gli ammortizzatori andranno a finire ad aprile 2026. E i contratti di solidarietà sono l’unica cosa se resta se non hai modelli nuovi da lanciare, se non hai l’ibrido che ti fa da ‘ponte’ sull’elettrico. Peraltro di ibridazione sulle linee di Piedimonte si parlava sin dall’ultimo piano industriale del 2018 ma non s’è visto niente. Così arrivi all’ennesimo anno di ammortizzatori in deroga e nel frattempo sul piano produttivo e occupazionale non hai concluso niente. Siamo alla morfina ad un malato terminale”.
- Il sindaco di Piedimonte Ferdinandi ha prospettato la possibilità che vengano attratti investimenti dal farmaceutico e dalla difesa per reindustrializzare le aree del sito dismesse dai francesi.
“Il punto sulla dismissione non è “cosa apro ora” o “cosa posso fare” nel capannone vuoto: il messaggio che si vuol far passare è che l’automotive non serve più a nessuno. Il fatto è che non non c’è una politica industriale nel sistema Paese Italia e non parlo della provincia. Per cui, e non per rispondere alle esternazioni del sindaco, bisogna piuttosto dibattere su cosa possono fare istituzioni, politica, primi cittadini per supportare il settore auto e difendere l’occupazione di fronte allo stato avanzato di desertificazione. Il punto, ripeto e ribadisco, non è con cosa sostituisco ma come proteggo l’automotive. Oltretutto nel contesto di una provincia che viaggia a due velocità. Dove la parte sud viene penalizzata dal non aver fatto parte dell’area di crisi complessa e neanche della Zes. Mentre hai la multinazionale Stellantis e il 70% metalmeccanico che lavora per Stellantis, che sono fermi al palo”.
- Di produttore cinese non si parla più, nonostante gli accordi riservati sottoscritti a Pechino dalla nostra premier?
“Sarei cauto nel legare a livello sinergico la situazione Stellantis e indotto con queste possibilità. Non vorrei che si verificasse quello che è avvenuto con la falsa speranza che ci fu a Torino sulla scorta dell’accordo con i cinesi di Leapmotor. L’intesa col produttore di vetture cinesi a basso costo si sperava avesse portato in Italia l’assemblaggio di quelle auto. Invece l’accordo è stato solo commerciale consentendo il dumping di quelle produzioni in Italia ed Europa. Quello che successe con cessione crediti verdi Tesla allora Fca, 1.8miliardi in gestioni crediti verdi per produrre endotermico”.
Sindacati divisi sul Ccsl e premio di risultato ridotto a mancia di carità
- A fronte di una situazione gravissima il sindacato non riesce a trovare una via unitaria nel confronto con Stellantis mentre la piattaforma unitaria la trova sul contratto nazionale dei metalmeccanici. Come mai?
“Potrei rispondere che questa domanda è rivolta al sindacato sbagliato. Quel che accade è il frutto della scelta operata nel 2011 di Fca di uscire da Federmeccanica e di procedere ad accordi separati tenendo fuori la Fiom. Noi siamo rientrati nella contrattazione con Fca dal 2013 e dalla porta principale, non dalla finestra, grazie alla Corte Costituzionale. Uscendo da Federmeccanica ti sei cucito addosso su misura il vestito del Contratto Collettivo Specifico di Lavoro (Ccsl) per le aziende appartenenti ai Gruppi Stellantis, Iveco Group, CNH Industrial e Ferrari mettendo anche a rischio la piattaforma unitaria su cui Federmeccanica non vuol più discutere. Ma se non c’è contrattazione nazionale, sui contratti specifici aziendali si è più deboli. Visto il biennio economico che si va rinnovando con Stellantis, intanto, non vogliono che si proceda in maniera unitaria. E si continuano ad avere interessi contrapposti sapendo che tutto il settore rischia di far pagare il conto solamente ai lavoratori. Il risultato è che in una fase del genere di arretramento, Stellantis fa 5,5 miliardi di utili da distribuire agli azionisti e ai lavoratori dà un premio da fame di 630 euro lordi. Non un premio di risultato ma di carità”.
- Conclusione?
“Noi pensiamo che di fronte ad uno stato avanzato di desertificazione il problema vero va al di là degli incentivi alle uscite. Pensiamo ai contratti di espansione dove ad un numero totale di uscite corrisponde un numero x di entrate: ad esempio ogni 3 uscite almeno un nuovo ingresso. Altrimenti progressivamente gli stabilimenti, invecchiando e tagliando produzione, arriveranno al punto di rendere ovvio chiedersi se conviene davvero accendere quegli impianti o no. Con tutto il disastro nell’indotto e nella componentistica conseguenti e già in atto”.
- A che punto sono arrivate le imprese della filiera nel Cassinate e in provincia?
“Siamo davvero sui livelli di guardia. Nel momento in cui parliamo, qualsiasi azienda, da 15 dipendenti ai 100 – 200 dipendenti, strettamente collegata a Stellantis o a commesse con Stellantis, è classificabile a rischio. Del resto parliamo di uno stabilimento che nei primi 4 mesi dell’anno è rimasto aperto solo per 36 giorni. Un livello produttivo – a turno unico – che non può garantire costanza occupazionale a chi lavora per esso e, oltretutto, non gode di ammortizzatori sociali. Siamo entrati ufficialmente in uno stato avanzato di allerta: quel famoso buco nero che rischia di inghiottire e inglobare tutto è vicino. Insomma non bisogna preoccuparsi per le vertenze quotidiane che dovessero presentarsi ma per l’entità del disastro complessivo che ci troveremmo di fronte se il sistema dovesse effettivamente e drammaticamente crollare”.