Bubba Ho-Tep è un romanzo breve di Joe R. Lansdale del 1994, a metà fra l’horror e la commedia. Il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1994, nell’antologia di racconti The King is Dead, e da allora ha goduto di varie riedizioni. La prima edizione italiana risale al 2004, pubblicato singolarmente per l’editore milanese Magenes. È stato poi incluso nell’antologia del 2014 Notizie dalle tenebre, con una nuova traduzione.
Nel 2002 il regista Don Coscarelli adatta il romanzo breve di Lansdale e dirige il film omonimo, con Bruce Campbell nel ruolo di Elvis ed Ossie Davis in quello di Jack alias John Kennedy.
In bilico tra tragico e grottesco
Nel panorama della narrativa americana contemporanea, pochi autori possiedono la disinvoltura linguistica e la capacità di osare che contraddistinguono Joe R. Lansdale. Bubba Ho-Tep, breve ma densissimo romanzo pubblicato originariamente nel 1994 e successivamente assurto a culto grazie anche all’adattamento cinematografico del 2002, rappresenta una delle vette più emblematiche del suo stile eccentrico, ibrido e profondamente radicato nella cultura popolare statunitense. Il testo si muove sul filo sottile che separa il grottesco dal tragico, il surreale dalla critica sociale, offrendo un’esperienza di lettura tanto disturbante quanto malinconicamente umana.
L’assurdo come specchio della decadenza
L’idea narrativa è, di per sé, un atto di sfida al buon senso letterario: Elvis Presley non è morto, ma invecchiato in un modesto ospizio texano, abbandonato da un mondo che lo ha dimenticato. Assieme a lui, un uomo afroamericano convinto di essere John Fitzgerald Kennedy (che sostiene di essere stato “tinto” dalla CIA), si troverà a combattere una mummia egizia che si nutre delle anime degli anziani, firmando i suoi crimini con escrementi geroglifici sui muri dei bagni.
Dietro questa premessa volutamente parodica e intrisa di pulp, Lansdale costruisce un’intensa riflessione sull’identità, la decadenza e l’oblio. Il vero cuore pulsante del racconto non è il conflitto con la creatura soprannaturale, quanto il lento, inesorabile disfacimento dell’individuo in una società che rimuove ciò che non serve più: vecchi, miti, verità.
Linguaggio e tono: un equilibrio instabile e perfetto
La prosa di Lansdale si distingue per il suo registro basso, sporco, intriso di umori corporei e immagini espressioniste, ma illuminato qua e là da sorprendenti squarci lirici. Elvis, voce narrante del testo, racconta in prima persona con un linguaggio pieno di frasi idiomatiche, oscenità, improvvise confessioni intime. Questo stile sgrammaticato e ironico non è un vezzo, ma una precisa scelta estetica che restituisce la coscienza fratturata del protagonista: un re decaduto, prigioniero della propria leggenda, che tenta disperatamente di riconquistare un brandello di dignità.
Lansdale si dimostra maestro nel manipolare i toni. L’orrore della mummia è reale, ma l’umorismo, spesso demenziale, stempera la tensione solo per rendere più agghiacciante il senso di vuoto che ne rimane. Il contrasto tra l’assurdo della situazione e la sofferenza tangibile degli ospiti della casa di riposo genera un effetto straniante: ci si ritrova a ridere, ma con un nodo in gola.
Il mito americano ridotto a rovine
Uno dei livelli più affascinanti dell’opera è la decostruzione del mito. Elvis e JFK, icone supremamente americane, sono qui spogliati della loro aura leggendaria e ridotti a relitti umani. Lansdale gioca con la metafora, trasformando l’ospizio in un limbo dantesco dove le grandi narrazioni della storia americana vanno a morire. Il passato, glorioso e dorato, è stato sostituito da una quotidianità di cateteri, sedie a rotelle e personale infermieristico disinteressato.
Ma è proprio in questa condizione di abbandono che può emergere un’ultima possibilità di redenzione. La battaglia finale contro il mostro, per quanto ridicola, assume un valore epico: è il tentativo, disperato e nobile, di riaffermare il proprio essere contro l’annichilimento. La mummia diventa simbolo dell’indifferenza che consuma le anime degli anziani, mentre Elvis si erge come cavaliere morente, ridicolo ma eroico, di un’epopea dimenticata.
Un piccolo…e corrosivo gioiello
Bubba Ho-Tep è un testo breve ma stratificato, capace di far convivere la cultura trash e la riflessione esistenziale, la commedia nera e il dramma intimo. Joe R. Lansdale conferma il suo talento nel reinventare i generi, piegandoli ai propri fini con una libertà espressiva rara e invidiabile. La sua scrittura, intrisa di ironia corrosiva e compassione sincera, restituisce dignità a ciò che la società rifiuta, raccontando la vecchiaia e la morte non come fine, ma come ultimo teatro della resistenza.
In un’epoca in cui la narrativa spesso si rifugia nel cinismo o nell’estetica sterile, Lansdale osa essere sporco, emotivo, e sorprendentemente umano. Bubba Ho-Tep non è solo una storia bizzarra: è una meditazione intensa sulla caducità e sul desiderio, testardo e tragico, di continuare a vivere.