È stato ancora una volta il “Casermone” di Frosinone – il complesso di edilizia popolare nella parte bassa del capoluogo – a finire al centro di un’operazione dei Carabinieri, tornato sotto i riflettori come teatro di violenza, droga e sopraffazione. Ieri mattina i militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma, hanno arrestato tre persone – due uomini e una donna, tutti italiani tra i 30 ed i 35 anni – accusati a vario titolo di sequestro di persona a scopo di estorsione, tentata estorsione, tortura e porto illegale di armi.
Al centro dell’inchiesta, coordinata dalla DDA e scaturita da una denuncia sporta a gennaio, c’è l’ennesimo debito di droga sfociato in una spirale di violenza inaudita. La vittima, un giovane di Arce, aveva raccontato ai Carabinieri di essere da tempo bersaglio di minacce e intimidazioni da parte di un uomo di Frosinone e di altri soggetti legati al “Casermone”, per un vecchio credito da 1.600 euro relativo all’acquisto di stupefacenti.
Il sequestro e le indagini
Ma il peggio era arrivato la sera dell’8 gennaio: un vero e proprio blitz nella sua abitazione, da dove era stato prelevato con la forza, trascinato al sesto piano del famigerato stabile di Frosinone, legato a una ringhiera sul balcone e picchiato selvaggiamente per ore. I suoi aguzzini lo avrebbero anche minacciato con una pistola. Alla fine, il giovane aveva riportato lesioni e tagli alle braccia giudicati guaribili in 30 giorni.
L’indagine, condotta con riscontri tecnici, testimonianze e sopralluoghi mirati all’interno del “Casermone”, ha permesso di ricostruire nel dettaglio il sequestro e di attribuire precisi ruoli agli indagati, delineando – in questa fase ancora preliminare – un quadro indiziario grave e coerente. Nonostante la vittima fosse riuscita a estinguere quasi per intero il debito, le minacce e le pressioni non si erano interrotte, a conferma – secondo gli investigatori – della pericolosità e dell’aggressività degli arrestati.
Il “Casermone”, già in passato oggetto di numerose operazioni antidroga, torna così a essere sinonimo di illegalità e paura. Un luogo dove spesso la marginalità sociale si intreccia con il radicamento di microcriminalità diffusa, su cui le forze dell’ordine continuano a mantenere alta l’attenzione.