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Il medico ‘maratoneta’ che incassa 40mila euro al mese: l’altra faccia del pronto soccorso

La carenza di personale sanitario viene arginata con lo scandaloso sistema dei 'gettonisti' che penalizza i cittadini e il personale interno

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Un medico “gettonista” di 70 anni lavorerebbe 144 ore a settimana, sei giorni consecutivi, in un turno continuo h24 tra Alatri e Cassino, due ospedali della provincia di Frosinone, con un guadagno mensile di oltre 40mila euro.

È quanto viene riportato nell’edizione del 5 luglio del ‘ll Fatto Quotidiano’. Nell’articolo a firma della giornalista Linda Di Benedetto viene messa in luce una vicenda che, più che reale, sembra tratta da un romanzo fantasioso sulla sanità italiana. Ma chi sono i ‘gettonisti’? Così vengono chiamati i professionisti assunti tramite cooperative esterne, pagati a gettone orario.

Un’organizzazione tanto surreale quanto, però, “collaudata”. Il medico, dopo aver trascorso la notte al pronto soccorso di Alatri, la mattina si mette in macchina e raggiunge l’ospedale Santa Scolastica di Cassino, dove presta servizio per altre 12 ore. Finito il turno, risale in auto e torna ad Alatri per ricominciare il ciclo notturno. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, per sei giorni consecutivi. E tutto questo, sempre secondo Il Fatto Quotidiano, avverrebbe con regolarità, ogni settimana.

Il compenso? Circa 40mila euro al mese. Uno stipendio che un medico strutturato del servizio pubblico, con anni di anzianità, può solo sognarsi. E che grida allo scandalo se paragonato al salario di un infermiere, di un ausiliario, o di un giovane medico neoassunto, costretti a ritmi ugualmente logoranti ma pagati con cifre infinitamente più basse.

“Il gettonista non sempre parrebbe in forma e scattante dinanzi alle innumerevoli emergenze del pronto soccorso”, scrive la Di Benedetto con amara diplomazia. Come potrebbe esserlo, del resto, un essere umano sottoposto a tale logorìo fisico e mentale?

Ma questo scandalo non è solo una questione di numeri. È un sistema che produce conseguenze reali, gravissime, irreversibili. Come quella accaduta lo scorso 5 aprile 2025, proprio nel pronto soccorso di Cassino, dove Charles Baffour, il brillante studente universitario originario del Ghana, di soli 24 anni, è morto dopo essere stato lasciato per ore su una barella, senza assistenza adeguata. E sapete chi era il medico che lo aveva visitato quella notte? Un gettonista. Anche lui appena rientrato da un turno di 12 ore su un’auto medica e pronto a farne altre 12 al pronto soccorso. Un altro operatore “a gettone”, stanco, sfinito, forse poco lucido, sicuramente solo, messo lì a reggere un’intera struttura emergenziale. Per la morte di Charles sono finiti sotto la lente della Procura di Cassino, sette persone tra medici e infermieri in servizio quella maledetta notte al ‘Santa Scolastica’.

Ecco allora che quella dei 144 turni settimanali, dei 40mila euro al mese, non è solo una stranezza da prima pagina, ma l’altra faccia dello stesso sistema malato: da una parte lo spreco, l’abuso, la gestione privatistica della cosa pubblica; dall’altra, la carenza, la disumanità, la morte. Una medicina “offensiva”, che mortifica i pazienti, costretti a mettere la propria salute nelle mani di chi – pur forse animato dalle migliori intenzioni – lavora ben oltre i limiti della lucidità e del buon senso. Mortifica gli infermieri e gli operatori che reggono i pronto soccorso con turni massacranti e stipendi risicati. Mortifica i giovani medici che ancora credono nella sanità pubblica, pur dovendo accontentarsi di contratti precari e sottopagati. Mortifica, infine, ogni cittadino che paga le tasse e si aspetta un servizio efficiente, non uno spreco sistemico legalizzato.

Perché non si tratta solo di una questione economica. Si tratta di etica professionale, sicurezza, legalità. Nessuna legge, nessuna logica, nessuna deontologia può giustificare turni continuativi senza pausa, spostamenti notturni tra ospedali, ore di lavoro che violano ogni normativa nazionale ed europea. E non si può più far finta di nulla, soprattutto quando a farne le spese è la vita di un ragazzo, morto da solo, in un pronto soccorso dove nessuno ha potuto – o voluto – intervenire. Una brutta storia, figlia dell’emergenza cronica che affligge i nostri ospedali, e dell’incapacità – o forse della non volontà – di riformare un sistema che sta crollando su sé stesso, pezzo dopo pezzo.

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