Sono passate settimane dall’11 settembre, giorno in cui Paolo Mendico di soli 15 anni è stato trovato senza vita nella sua stanza. La morte tragica dell’adolescente ha lasciato un vuoto immenso nella famiglia e aperto interrogativi profondi in tutta la comunità. Un gesto estremo, che ha interrotto troppo presto il percorso di un ragazzo che, all’apparenza, conduceva una vita come tanti coetanei.
Chi lo conosceva parla di un giovane sensibile, educato, con passioni e sogni. Nulla che potesse far immaginare una decisione così definitiva. Ma il dolore, spesso, ha strade invisibili, e dietro il sorriso di un adolescente possono nascondersi mondi interiori che nessuno riesce a vedere fino in fondo. Oggi a occuparsi della vicenda è la Procura di Cassino, che ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio, al momento contro ignoti. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire il contesto in cui Paolo viveva: i rapporti con la scuola, le dinamiche con gli amici, eventuali segnali lasciati nei messaggi, nelle chat, nei dispositivi elettronici.
Il procuratore Carlo Fucci, in un’intervista rilasciata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, ha parlato con chiarezza e cautela: “È una tragedia maturata nel tempo. Nessuna ipotesi viene esclusa, ma non si possono lanciare accuse senza prove. Serve equilibrio: vogliamo arrivare alla verità, ma senza creare nuove vittime”.
Un messaggio forte, soprattutto in un momento in cui il dolore rischia di essere amplificato da speculazioni e giudizi affrettati. La madre di Paolo, originaria di Cassino, ha chiesto solo una cosa: sapere cosa è successo davvero. Non si tratta solo di stabilire responsabilità, ma di capire, per evitare che accada ancora. Il gesto di Paolo, così estremo e definitivo, impone alla comunità adulta – famiglie, scuole, istituzioni – una riflessione profonda su come ascoltare, accogliere e proteggere i più giovani.