“Rage bait” è stata incoronata parola dell’anno dall’Oxford English Dictionary, una scelta che riflette quanto il mondo digitale sia ormai parte integrante della vita quotidiana: più di cinque miliardi di persone navigano sul web e frequentano i social, pari a circa il 65% della popolazione globale, e l’inglese continua a essere una delle lingue guida di questo ecosistema.
Contenuti mirati a provocare reazioni
Secondo gli studiosi dell’Oxford University Press, l’utilizzo dell’espressione – traducibile in italiano come “esca della rabbia” – è triplicato nel 2025 all’interno delle conversazioni online. Un aumento che, spiegano, indica una maggiore consapevolezza degli utenti nei confronti di una pratica sempre più diffusa: la creazione di contenuti progettati per far scattare irritazione, indignazione o fastidio, con l’obiettivo di generare traffico e aumentare le interazioni su pagine web e profili social.
L’istituzione britannica, punto di riferimento per la lingua inglese nel mondo, sottolinea che la crescita di questa espressione dimostra come le persone riconoscano più facilmente la dinamica con cui vengono trascinate in dibattiti accesi e discussioni polarizzanti. Un fenomeno alimentato sia dagli algoritmi dei social network sia dalla natura altamente coinvolgente dei post che giocano sull’indignazione.
Un concetto che nasce offline
Nonostante la sua popolarità attuale, il termine “rage bait” non è nuovo: risale al 2002, quando descriveva situazioni di provocazione nella vita reale. Solo in seguito è stato adottato e ridefinito dallo slang digitale. Oggi è facile riconoscerlo in video che propongono soluzioni domestiche assurde e inutili, in affermazioni politiche volutamente divisive, o persino in ricette completamente stravolte rispetto agli originali. Contenuti che spingono gli utenti a commentare per correggere, criticare o smentire, generando spesso accesi scontri online.
Un segnale di maggiore consapevolezza
Per Casper Grathwohl, presidente di Oxford Languages, il fatto che le persone identifichino e citino il “rage bait” è un segnale positivo: significa che cresce la capacità di riconoscere le strategie manipolative pensate per influenzare le emozioni. “Un tempo – spiega Grathwohl – il web puntava a catturare la nostra attenzione facendo leva sulla curiosità, ma oggi assistiamo a un cambio di paradigma: il focus si è spostato sulla gestione delle reazioni emotive”. Un passaggio che, secondo l’esperto, rappresenta l’evoluzione naturale del dibattito su come la tecnologia stia ridefinendo il nostro essere umani e i confini della cultura digitale.
Lo scorso anno la parola scelta era stata “brain rot”, cioè “marciume cerebrale”, un termine che riassumeva gli effetti dello scorrere senza fine dei contenuti sui social. Quest’anno “rage bait” mette in luce l’altro lato della medaglia: quei contenuti costruiti appositamente per scatenare indignazione e trasformare le emozioni in click.
