Un regista all’esordio. Un regista alle prese con un affresco generazionale, ma anche con una commedia. Un regista che non riesce a dar aria alla propria creatura. Una critica sociale che devia verso lo stereotipato. Sono queste le indicazioni che darei a qualsivoglia spettatore che volesse cimentarsi alla visione di “The Repairman” di Paolo Mitton. L’unico elemento da considerare positivo in toto è forse l’originale campagna pubblicitaria on line che ne ha anticipato l’uscita al cinema, al suo tempo, ossia lo slogan “ogni riparazione è una piccola rivoluzione”.
La trama
Il protagonista delle vicende è lo strampalato Scanio (Daniele Savoca), ingegnere mancato che sbarca il lunario riparando macchine per il caffè. In seguito ad un incidente gli è revocata la patente ed è così costretto a seguire un corso di recupero in un’autoscuola. Quando deve spiegare come abbia perso il documento, l’uomo si ritrova a raccontare l’ultimo anno di vita, tra delusioni, critiche e contraddizioni. Forse solo l’inglese Helena (Hanna Croft), innamorata di lui, può capirlo…
Un’opera che non spicca il volo
Aggiustare richiede il suo tempo, un tempo che forse questo mondo non ha più, preso com’è a rincorrere mille obiettivi, professionali e non, popolato da persone impegnate più a coltivare la propria immagine sociale che a rendersi migliori come esseri umani. Un lavoro il cui obiettivo – non centrato – è quello di invitare a vivere ‘slow’, lento, come il film stesso, in ogni aspetto. Uno scopo non raggiunto poiché anche lo stesso Scanio resta intrappolato nel suo modo di essere.
Opera prima nata con un respiro affannato per Paolo Mitton che non riesce a dar vita vera al suo “automa”; la parvenza di esistenza della pellicola si scioglie per il pubblico così come per il Nathanael di Hoffman si dissolse la consistenza di Olimpia: tra le mani resta il vuoto pneumatico di una degenerazione mentale che non porta da nessuna parte. I personaggi perdono colore tra dialoghi poco incisivi, il protagonista non riesce ad essere approfondito nella sua bislacca ingenuità, la società omologata e fine a sé stessa è un concetto abbastanza trito. Non c’è verso di contrapporre il conformismo all’anticonformismo di Scanio: il suo è un ruolo troppo debole e confinato in un plot limitato e molto italico, come conferma la sceneggiatura un po’ ridondante dello stesso Mitton e di Scarrone. Difatti la scrittura non riesce ad avere un’evoluzione, tutto quello che succede tra la situazione iniziale e quella finale è sempre sottotono, così come lo sono i personaggi: nessuno ha davvero un anima, neanche il protagonista. Ridondante è anche la regia, con parecchie dissolvenze in nero e ripetitiva nella scelta delle inquadrature. The Repairman non riesce a spiccare il volo, specchio meta significativo del suo protagonista: stralunato, candido, ma anche imploso. Certo butta un occhio a Moretti e uno a Ferrero, il torinese Mitton, ma ancora ne ha di strada da percorrere.
Dettagli
Titolo originale: id.
Regia: Paolo Mitton
Sceneggiatura: Paolo Mitton, Francesco Scarrone
Cast: Daniele Savoca, Hannah Croft
Fotografia: David Rom
Montaggio: Matteo Paolini, Enrico Giovannone