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Il voto di Ceccano, la bocciatura di una classe dirigente: il fallimento di Ruspandini e del centrodestra

La disfatta del centrodestra lascia macerie e una ricostruzione che investirà anche la leadership provinciale. Nel Pd il nodo trasversalismo

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Due figure emergono dal voto ceccanese. Lo “sconfitto inconsapevole” e il “vincitore senza traversone”. Uno di destra e l’altro di sinistra, diciamo così. Iniziamo dal primo: non gli è riuscito durante tutta la campagna elettorale e neppure ora che ha rimediato una disfatta nelle urne di portata notevole, nella sua stessa città: cioè il pronunciare una sola parola di autocritica sul governo del monocolore FdI al Comune, nel corso del doppio mandato dell’ex sindaco Roberto Caligiore, finito tra arresti domiciliari e accuse infamanti. Così Massimo Ruspandini, deputato della Repubblica e già senatore, continua a vedere un “clima da ghigliottina e da caccia alle streghe”, si ritiene circondato da “leoni da testiera” e “penne di regime” e finisce con l’interpretare il suo ruolo in maniera epica, beato lui: “Nessuno cancellerà la nostra storia e noi non dobbiamo dimenticare da dove siamo partiti, contro tutto e contro tutti”.

Il doppio fallimento di Ruspandini e dei suoi collaboratori e sostenitori

Ma la realtà racconta la storia di un doppio fallimento politico: il primo riguarda le previsioni che tutti facevano nel centrodestra ufficiale – e pure in quello civico di Fabio Giovannone (che ha contribuito con le sue liste a rendere più complicata la prevedibile affermazione del centrosinistra) -: non c’era chi non scommettesse sul ballottaggio Di Pofi-Querqui fino ai comizi di chiusura. Bene: Di Pofi è rimasto al 20%, soglia indecorosa per una coalizione guidata dal primo partito del Paese. Secondo fallimento: non sono serviti i sostegni diretti del coordinatore regionale di FdI Paolo Trancassini e del presidente della Regione Francesco Rocca che ci hanno messo (quanto meno imprudentemente) la faccia: Ruspandini ed i suoi hanno ridotto Fratelli d’Italia ad un incredibile 6.01% di consensi. Roba da pizzichi se si pensa alle percentuali che i meloniani vantano nel resto del territorio nazionale: siamo al 30%, mica fini fini e bufala di Amaseno (col rispetto per ricette e specialità del territorio). Il simbolo del partito di Giorgia Meloni ridotto alla metà della Grande Ceccano di Riccardo Del Brocco. Questo è, senza girarci troppo attorno. Ciliegina sulla torta i 171 voti della Lega: un 1,34% che neppure riesce a sconsigliare all’ex presidente del consiglio regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, di andare in tv per dispensare le sue ricette politiche. Pronosticando pure il futuro di Mastrangeli. L’onorevole Nicola Ottaviani almeno ha avuto il buon gusto di starsene a distanza dalle penne (di regime e no). Le macerie hanno investito pure lui.

Meloniani nel resto della provincia con punte di sarcasmo. C’è chi gongola

Ora va chiarito che il voto dei ceccanesi non può essere considerato un voto politico contro il governo nazionale e regionale, che già sarebbe un bell’alibi per il deputato locale ed i suoi amici e sostenitori. Pare proprio una bocciatura delle persone specificamente individuate che hanno governato insieme all’ex sindaco Roberto Caligiore e che si sono ripresentate nelle liste elettorali, nonostante un’inchiesta in corso che tocca anche alcuni dei protagonisti della campagna elettorale. Una cosa talmente indigeribile che solo le narrazioni di Ruspandini riescono ad oscurare. Prova ne sia che il nocciolo della questione della lettura della debacle di Ceccano è stato compreso benissimo negli stessi ambienti di Fratelli d’Italia della provincia di Frosinone.

Non è un caso che a Isola Liri Mauro Tomaselli abbia subito taggato sul suo profilo l’immagine di un brindisi con lo spumante; anche a Cassino non sono mancate manifestazioni di sommessa soddisfazione, come pure nel capoluogo: qui i dirigenti sanno che il tramonto del “modello ceccanese” dovrà riportare all’ombra del Campanile il centro decisionale del maggiore partito del centrodestra. Insomma ad essere inesorabilmente bocciato – senza esami di riparazione possibili – è il coordinatore provinciale, uomo che ha mostrato potenza scegliendo il consigliere regionale del territorio, individuando il commissario del Consorzio Industriale Unico del Lazio, designando la classe dirigente, Caligiore incluso, precedente e successiva all’inchiesta sull’allegra lobby degli appalti del Pnrr.

Il corto circuito tra ideali e fatti all’ombra delle mancate giustificazioni sul caso Caligiore

Ora è vero che Ruspandini ha un po’ la fissa contro il colore rosso (e pure rosatello) e continua ad attaccare le sinistra, a pendersela con le amministrazioni “PDine” e socialiste che ne hanno combinate sicuramente di ogni specie quanto a cattiva gestione e clientele. Ma dopo la diffusione di carte giudiziarie sul presunto circuito “fatture-tangenti” utilizzato per la spartizione di “mazzette”, magari sarebbe stato il caso di utilizzare prudenza, tacendo o scusandosi per le responsabilità politiche e ideali (a cui abbiamo già accennato su queste colonne). Oltretutto facendo parte della classe dirigente di quel partito che dice di rifarsi alla destra di Borsellino ed è erede del giustizialismo del Movimento Sociale Italiano. Il corto circuito tra teoria, propaganda e riscontro dei fatti accaduti a Palazzo Antonelli è questione di confronto cronachistico di dichiarazioni e comportamenti e non di opinioni. Amen.

De Angelis torna a sorridere ma ha vinto la strategia politica opposta alle sue pratiche

Il “vincitore senza traversone” è poi il sempre sorridente leader del Pd, Francesco De Angelis. Subito salito ad abbracciare – in favor di telecamera – il neo sindaco Querqui. Ora De Angelis, tanto per citare qualche dato politico, è esponente del centrosinistra che insieme all’attuale leghista Abbruzzese ha gestito il Cosilam, insieme al meloniano Ruspandini ha deciso le sorti di vari enti intermedi, dalla Saf alla Provincia. Il filo-Rocca Luca Di Stefano è stato da De Angelis orgogliosamente sostenuto fino all’insediamento nella massima poltrona di Palazzo Iacobucci. Viene descritto come un leader che di solito quando vince occupa tutte le caselle a disposizione ma riesce a trovare spazi vitali, per se stesso ed i suoi anche, quando ad avere la meglio nelle urne è il centrodestra. E’ un tipo pure simpatico, oltre che indubbiamente politicamente intelligente e scaltro. Però non si deve mai esagerare. Perché, a voler essere coerenti, bisognerebbe sottolineare che a Ceccano ha vinto proprio la linea politica opposta a quella concretamente praticata da De Angelis nelle faccende di gestione degli enti: quella della separazione netta tra centrosinistra e centrodestra. Che Di Pofi e Giovannone stessero sulla sponda opposta a quella di Querqui, Malizola e Mingarelli all’elettore ceccanese è risultato sempre chiarissimo. Per questo ha scelto con estrema sicurezza e freddezza i suoi bersagli: quelli da non votare.

La coerenza imporrebbe ora di sciogliere accordi trasversali in enti e organismi vari

Quindi, dopo il voto di Ceccano, De Angelis dovrebbe agire di conseguenza se davvero è così entusiasta del risultato: spiegare a più di uno dei suoi che è opportuno non governare con presidenti di FdI o con sindaci di Forza Italia, sciogliendo i vari accordi trasversali in enti e realtà varie. Passare da Berlinguer a Schlein qualche rinuncia di potere dovrà pur comportare dopo una lunga e onorata carriera di incarichi ed elezioni. No? Non siamo più nella prima repubblica dove alla superficiale c’era la contrapposizione Dc-Pci e nell’ombra la machiavellica ragion di stato. Dovremmo occuparci di questioni minori, come rilievo nazionale, ma essenziali per la vita di tutti. A cominciare dalla bonifica dei veleni della Valle del sacco, come pure di quel depuratore con un processo per le “molestie olfattive patite dai residenti”. Democratica puzza di merda per tutti.

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