La comparazione delle impronte digitali chiesta nove mesi fa, e inerente il presunto coinvolgimento dell’oramai defunto Tonino Cianfarani con la morte di Serena Mollicone, ha fugato ogni dubbio: l’assassino di Samanta Fava, la trentasettenne di Sora scomparsa nel 2012, non è anche quello della diciottenne di Arce. A darne conferma l’avvocato Ezio Tatangelo, legale della famiglia del manovale che venne arrestato dalla Polizia di Stato nel giugno del 2013 con l’accusa di aver ucciso di botte e poi murato in una cantina di Fontechiari la donna, sua amica da anni.
A collegare il nome di Cianfarani e a ritenerlo probabile assassino di Serena Mollicone era stato, in sede di processo, il professor Carmelo Lavorino, criminologo a capo del pool difensivo della famiglia Mottola (padre, madre e figlio finiti sotto indagine con l’accusa di aver assassinato Serena Mollicone ed assolti dalla Corte d’Assise del tribunale di Cassino per insufficienza di prove) che per questo motivo aveva chiesto la comparazione delle impronte.
Un passaggio che aveva suscitato perplessità soprattutto tra gli investigatori: le impronte digitali di un assassino o ritenuto tale vengono inserite in una banca dati al momento dell’ingresso in carcere. E quelle di Tonino Cianfarani non avevano dato riscontro alcuno con quella rinvenuta sul nastro adesivo che avvolgeva il capo di Serena.
Ora c’è l’ufficialità e il nome di Tonino Cianfarani, nel frattempo deceduto per una grave malattia, potrà finalmente cadere in quell’oblio che meritano i defunti.