Tra cura e amore, il coraggio di una mamma incontra l’umanità dei sanitari dello Spaziani: la storia

L'ospedale che non voleva più vedere è diventato "casa". Piergiorgio e Maria Pia: quando l'umanità cura più dei farmaci

Frosinone – Quella di Piergiorgio De Matteis e della sua mamma, Maria Pia, è una storia che profuma di vita, di coraggio, di dignità. Una storia che mette al centro l’umanità, la forza dell’amore materno e la ritrovata fiducia in un sistema sanitario che, quando funziona, sa essere una vera e propria eccellenza.

A raccontarla alla nostra Redazione è una donna che da quasi 30 anni lotta per garantire a suo figlio malato le cure adeguate e una qualità della vita degna di essere definita tale. Lo fa con parole che arrivano dritte al cuore, con la voce ferma e composta di chi affronta ogni giornata, tra terapie e cure, a testa alta senza abbattersi mai. Maria Pia Di Giorgio è il faro di Piergiorgio ma, insieme, hanno trovato una nuova luce nel reparto di Malattie Infettive dell’ospedale Spaziani del capoluogo. Lì, in quella struttura dove Piergiorgio è nato, nel 1997, e dove – come racconta la sua mamma – è iniziato il loro calvario, sono tornati qualche giorno fa per un ricovero. E la narrazione della storia è completamente cambiata.

L’ospedale che Maria Pia non voleva più vedere è diventato “casa”, “famiglia” e rinascita. Lì, dove la cura è fatta anche di sorrisi, sguardi e piccoli grandi gesti, la paura è diventata speranza. E l’umanità ha saputo curare più delle terapie farmacologiche.

“In quel reparto mi sono sentita tranquilla e al sicuro. E Piergiorgio sorrideva”

È quello che sembra essere un giorno qualunque ma mamma Maria Pia capisce che qualcosa non va. Piergiorgio non sta bene, gli esami evidenziano che ha bisogno di cure. Lei vuole portarlo a Tor Vergata. Non vuole tornare allo Spaziani, non ha un bel ricordo di quella struttura – ma questa è un’altra storia. Insieme al padre di Piergiorgio, però, decide che l’ospedale di Frosinone sarebbe stato la soluzione migliore anche in termini di logistica. Da Pontecorvo, dove vivono, arrivano nel Pronto Soccorso del capoluogo. Poi Piergiorgio viene trasferito nel reparto di Malattie Infettive.

“Quando ho lasciato quel reparto, ieri, mi sono sentita un po’ denudata, perché lì mi sentivo davvero tranquilla e al sicuro”. – Racconta Maria Pia – Ogni singolo professionista che ho incontrato in quelle stanze e in quei corridoi mi ha fatto riacquistare una notevole fiducia nella professione medica, negli infermieri, nei medici e anche negli OSS. In quella squadra ognuno fa il suo dovere con piena responsabilità: è un vero team. La coordinatrice del reparto, la dott.ssa Carlini, l’ho conosciuta il giorno dopo il ricovero. È venuta carinamente a presentarsi e a conoscere Piergiorgio. Lo hanno accolto senza pietismo, con grande professionalità ma anche con tanta tenerezza. Ha avuto bisogno di molte analisi, flebo, ed è stato costantemente monitorato. Per un ragazzo con ritardo cognitivo e spettro autistico, è stato un forte trauma, anche perché stava male. Eppure loro sono riusciti ad accudirlo al meglio. Quando sono arrivata lì, non sapevo cosa aspettarmi. Era la mia prima volta in un reparto di Malattie Infettive e ne ero spaventata, anche per via del trauma del Covid. Poi ho conosciuto il dottor Fabrizi, che si occupava direttamente di Piergiorgio. Era già sceso in Pronto Soccorso con un’altra infettivologa e poco dopo è tornato per dirmi che mio figlio sarebbe stato portato in reparto e che dovevo stare tranquilla. Quelle parole mi hanno profondamente colpito perché il dott. Fabrizi è un medico che non ha un grande approccio con i parenti, non perde tempo in chiacchiere. Questo un po’ mi spaventava, perché da 27 anni cerco di capire gli sguardi e le parole dei medici. Ma lui è sempre e solo concentrato sul paziente, è totalmente immerso nel problema, nella ricerca della soluzione. Mio figlio ha cominciato a sorridere solo a lui, man mano che stava meglio. Lo adorava. Fabrizi lo ha anche calmato durante un’elettrocardiogramma, quando Piergiorgio si lamentava. Quando siamo arrivati, si è assicurato che io avessi qualcosa per riposare e stare accanto a mio figlio. Ho apprezzato tutto questo in modo incredibile”.

“Lì c’è un’equipe che diventa una famiglia”

Poi Maria Pia racconta del dottor Marcelli: “Non parlava molto con me ma sorrideva sempre a Piergiorgio, con quel suo sorriso rassicurante. Mio figlio lo salutava e, quando è stato il momento di andare via, il dottor Marcelli lo ha salutato con la mano, come si fa con un uomo grande. All’inizio ha pensato che fossero così attenti perché Piergiorgio ha una disabilità, poi ho capito che trattavano tutti allo stesso modo. Sicuramente hanno avuto un occhio di riguardo, ma anche per me, perché hanno visto la mia paura. Sono quasi trent’anni che mi occupo di lui, ho vissuto tante situazioni, mi sono scontrata con tanti ospedali. Per mio figlio io sono un cane da guardia, non transigo, perché è la cosa più bella che ho. Eppure lì, in quel reparto, mi sono sentita a casa. Le OSS entravano chiedendo il permesso per pulire. Il livello di pulizia e disinfezione era impeccabile, una vera catena di montaggio. Ridevano con i pazienti, giocavano anche con gli anziani. Lì c’è un’equipe che diventa una famiglia. Una sera tre infermiere sono entrate cantando e gli hanno portato un caffè, sapendo che lo ama. Non poteva berlo, ma quel gesto lo ha rasserenato. Ho voluto immortalare quel momento con una foto. Ho apprezzato ogni istante, ogni sguardo, ogni gesto. Ho apprezzato che non sminuissero mai la mia paura, che rispondessero con rispetto a ogni domanda su ogni farmaco. Hanno capito che, essendo mio figlio privo di voce, la sua voce sono io. Non vorrei mai dover tornare lì, per ovvi motivi, ma so che in caso di bisogno, lì c’è qualcuno su cui possiamo contare”.

“Umanità e responsabilità”: l’eccellenza dello Spaziani

Mamma Maria Pia ha voluto raccontare pubblicamente il ricovero di suo figlio in quel reparto dello Spaziani di Frosinone che – dice: “Era l’ultimo posto dove sarei voluta andare”, per ringraziare chi si è preso cura di Piergiorgio e anche di lei.

“Non tutti lavorano solo per arrivare a fine mese. La gente deve sapere che non è necessario correre a Roma per certe patologie, né accontentarsi di strutture più vicine che però fanno acqua da tutte le parti. Quella che ho visto è una grande squadra. C’erano momenti in cui mi sentivo tra amiche, mi hanno anche fatta sorridere. Quando siamo andati via, tutti salutavano Piergiorgio. Chi non era di turno chiamava i colleghi per sapere di lui. Porto queste cose nel cuore. E sappiate che c’è ancora gente che lavora con grande umanità e responsabilità, in perfetto equilibrio con la professionalità. Nel reparto di Malattie Infettive dell’ospedale di Frosinone, tutto questo esiste”. – Conclude mamma Maria Pia.

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Roberta Di Pucchio
Roberta Di Pucchio
Giornalista pubblicista

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