Sora – La Direzione Investigativa Antimafia, nella mattinata di ieri, ha eseguito un decreto di sequestro beni da circa due milioni di euro nei confronti di due imprenditori, padre e figlio, da tempo nel mirino della giustizia. I due, già noti per gravi precedenti penali legati al traffico di sostanze stupefacenti, operavano nel settore delle onoranze funebri, del commercio di fiori e della vendita di pellet, ma dietro le quinte – secondo gli inquirenti – si celava un reticolo di interessi opachi.
Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione, su proposta della Procura capitolina, ha riguardato cinque società attive nel Sorano, tre terreni, cinque fabbricati e numerose disponibilità finanziarie. Un sequestro significativo, che smantella un patrimonio ritenuto costruito sull’illegalità e su investimenti illeciti.


Beni sproporzionati e redditi inconsistenti: il castello è crollato
Le indagini del Centro Operativo DIA di Roma hanno ricostruito, passo dopo passo, le operazioni societarie e patrimoniali riconducibili agli imprenditori e ai loro familiari, evidenziando una chiara sproporzione tra quanto dichiarato al fisco e quanto realmente posseduto.
Un coacervo di interessi, quello dei due imprenditori, che intrecciava economia legale e attività illecite, in particolare dedite al traffico di droga, come emerso in passato. Il Tribunale di Roma ha ritenuto fondate le conclusioni della DIA, disponendo anche l’amministrazione giudiziaria delle società per tutelare il valore occupazionale e i dipendenti estranei alle condotte illecite.
Il sequestro rappresenta un passaggio chiave in un più ampio piano di contrasto alla criminalità organizzata, volto non solo a colpire i responsabili diretti ma anche a disgregare la rete economica che sostiene i loro affari.

L’operazione Requiem: quando lo Stato riprese il controllo del territorio
Dietro il sequestro di ieri, come specificato dalla DIA, c’è l’eco di una delle operazioni più incisive degli ultimi anni in provincia: “Requiem – Ultimatum al crimine”. Coordinata nell’ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Frosinone, allora guidata dal dottor Flavio Genovesi, l’inchiesta mise a nudo gli interessi di due clan – uno di origine campana trapiantato a Sora negli anni ’90 e l’altro autoctono – che si contendevano con ferocia il monopolio dello spaccio tra il Sorano, il Cassinate e l’Abruzzo.
“Per quasi 25 anni – raccontava Genovesi in un’intervista al nostro quotidiano, LEGGI QUI – il gruppo campano ha infiltrato il tessuto economico e sociale, operando tra estorsioni, riciclaggio e minacce. Quando sono scoppiati gli attentati incendiari, la guerra tra clan è diventata visibile e pericolosa. L’operazione Requiem ha segnato una svolta: abbiamo riaffermato la legalità sul territorio”.
L’operazione portò all’arresto di 25 persone, di cui nove ai domiciliari, e a un obbligo di dimora. Le condanne arrivate negli anni successivi hanno confermato il radicamento del sistema malavitoso, che investiva i proventi della droga proprio nelle onoranze funebri. “Quando fu recapitata una testa di maiale mozzata ad un’agenzia, fu chiaro che c’erano legami con clan campani molto potenti”, ricordava ancora Genovesi.
Dalla guerra tra clan al sequestro dei beni: l’azione continua
Il decreto eseguito ieri è provvisorio e rientra nell’ambito delle misure di prevenzione. I destinatari avranno modo di presentare memorie difensive e impugnazioni, ma intanto lo Stato ha assestato un colpo duro a chi, per gli investigatori, ha costruito imperi economici sulla violenza, l’intimidazione e il traffico di droga.
“La DIA – si legge in una nota – prosegue la propria azione di contrasto alla criminalità organizzata colpendo patrimoni e interessi illeciti per restituire respiro alla parte sana dell’economia”. E proprio a Sora, dove la criminalità organizzata per anni ha creduto di essere intoccabile, lo Stato dimostra che nessun potere illecito è al sicuro di fronte alla legge.