Migliorano le condizioni di Hicham, il 42enne che per mesi, visibilmente in difficoltà, ha vagato per le strade di Cassino. Le cure dei medici e degli infermieri del reparto SPDC dell’ospedale di Cassino, stanno restituendo sprazzi di normalità a questo povero cristo che non parlava la nostra lingua, non chiedeva nulla, ma la sua presenza era evidente. Sguardo perso, comportamenti a tratti agitati, abiti logori. Un ex giornalista marocchino di grande spessore culturale. La sua è una storia di profondo disagio psichico, segnata da traumi e anni di invisibilità sociale.
Ha vissuto a lungo all’aperto, anche nei mesi più freddi dell’anno. Chi lo ha incontrato lo descrive come una figura fragile, spaesata, incapace di comunicare, ma anche – talvolta – imprevedibile. Un uomo che aveva evidentemente bisogno d’aiuto.
La sua situazione era nota. Eppure, per molto tempo, non si è riusciti ad attivare alcun percorso concreto di assistenza o tutela. La svolta è arrivata solo recentemente, quando il sindaco di Villa Santa Lucia, Orazio Capraro, ha deciso di inviare una PEC alla Procura della Repubblica, segnalando formalmente il caso.
Un atto forse semplice, ma decisivo. Il procuratore capo Carlo Fucci, con grande senso del dovere e profonda umanità, ha attivato immediatamente l’iter necessario, permettendo così il ricovero di Hicham nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Cassino. Risolutiva l’informativa presentata in Procura dal comandante della stazione dei Carabinieri di Piedimonte San Germano. Il luogotenente Gaetano Evangelista e l’Arma dei Carabinieri hanno saputo guardare oltre quegli stracci indosso e quel viso scavato.
Oggi Hicham non è più in strada. È seguito, curato, protetto. Ma ciò che resta aperta è una domanda delicata: quanto tempo abbiamo? Perché si è dovuto attendere così tanto per intervenire, quando la condizione di questa persona era sotto gli occhi di tutti?
Non si tratta di puntare il dito. Tutt’altro. La città di Cassino ha dimostrato, anche in questa vicenda, un forte spirito di solidarietà: associazioni, cittadini, volontari hanno cercato — nei limiti del possibile — di offrire aiuto. Ma in casi di grave marginalità, l’impegno della società civile non può bastare da solo. Servono strumenti, procedure, e soprattutto segnali formali da parte delle istituzioni competenti. È questo che, a un certo punto, è mancato.
A rendere ancora più toccante questa storia, è arrivata una testimonianza inattesa.
Nei giorni scorsi, una donna ha contattato chi stava raccontando il caso: era la sorella di Hicham, scriveva dal Marocco. Aveva scoperto, attraverso un post su Facebook, che il fratello era vivo. Non lo sentiva da dieci anni. Lo credeva morto. E invece era qui, vivo, ricoverato, forse finalmente al sicuro.
La storia di Hicham non è solo un caso umano. È un’occasione per riflettere — con rispetto ma con chiarezza — su quanto conti agire con tempestività, su quanto sia facile rinviare, aspettare che sia qualcun altro a muoversi. Ma la dignità delle persone più fragili non può aspettare.