Dopo sei anni di silenzio, il regista ciociaro – di Boville Ernica per l’esattezza – Danilo Fabrizi torna dietro (e davanti) alla macchina da presa con “Angel Down”, un cortometraggio intenso e personale che affronta il tema della depressione e del dolore silenzioso. Un progetto nato dal profondo, ispirato alla canzone di Lady Gaga, che mescola autobiografia e osservazione esterna, raccontando il dramma interiore di chi lotta ogni giorno contro il “male invisibile”, il male della nostra epoca, che affligge e uccide silenziosamente, tante volte miete vittime senza farsi scorgere. In maniera bastarda. In modo subdolo. Troppo spesso non considerato abbastanza, come purtroppo la cronaca ci ricorda quotidianamente. Troppo spesso dimenticato anche dalle istituzioni. Il filmmaker di ‘casa nostra’ ci mette sotto il naso e davanti agli occhi, con la delicatezza della sensibilità ma anche la potenza di un uppercut inatteso, questo tema quanto mai attuale.
‘Angel down’, poco più di 8 minuti di durata, si distingue per la sua atmosfera intensa e il forte impatto visivo. L’uso consapevole delle immagini in bianco e nero, insieme alla scelta musicale profonda e coerente, amplifica il senso di disagio e introspezione che attraversa tutto il racconto. La narrazione, fatta di gesti, di voce narrante, di contro voce, racconta un dolore sommesso ma costante, che si insinua nei dettagli: lo sguardo assente, le ripetizioni quotidiane, i luoghi vuoti eppure densi. Il lavoro colpisce per la delicatezza con cui esplora un disagio estremo e il senso di tragedia, di impotenza, evitando la retorica e affidandosi a un linguaggio cinematografico maturo. Un racconto toccante, diretto con sensibilità e autenticità.
Così abbiamo deciso di intervistare Fabrizi per farci raccontare la genesi del progetto e i significati dietro ogni scelta stilistica. Un progetto intimo, di cui non solo è regista, ma attore protagonista, sceneggiatore e montatore.
L’intervista a Danilo Fabrizi
Perché il titolo Angel Down?
“Ogni anno, solo in Italia, migliaia di persone perdono la loro battaglia contro questo male oscuro e invisibile. Sono loro gli angeli caduti e questo cortometraggio è per loro. Il titolo si lega a doppio filo con la colonna sonora, che è una cover di “Angel Down” di Lady Gaga, brano che affronta proprio questo tema. Spesso utilizzo titoli di canzoni per dare un nome ai miei short-movie: è diventata una mia cifra stilistica, come l’inquadratura dal bagagliaio nei film di Tarantino”.
Il dolore narrato nel video è molto personale: è ispirato a un’esperienza vissuta o nasce da un’osservazione esterna?
“Quel dolore l’ho vissuto sulla mia pelle, ma sono stato bravo e fortunato a risalire in superficie. Allo stesso tempo, il corto nasce anche da un’attenta analisi esterna, fatta di storie raccontate da altri, pareri, esperienze. Ci ho messo la faccia e il corpo per veicolare un messaggio, ma ovviamente ho decostruito me stesso e mi sono ricomposto sullo schermo. È un’operazione inevitabile, anche quando si è autobiografici”.
Come hai scelto lo stile visivo in bianco e nero? Cosa volevi trasmettere eliminando il colore?
“Ho scelto il bianco e nero per riportare la memoria a quel cinema italiano bello, il neorealismo, con tutta la sua intimità e verità. Sono fattori determinanti in “Angel Down”. Nel corto si passa anche al colore, è vero, come segnale di speranza. Ma la realtà è che queste battaglie, purtroppo, spesso si perdono”.

Il protagonista comunica esclusivamente attraverso i gesti, raccontato dalla voce over contrappuntata da una voce in secondo piano: quanto è stato importante il lavoro attoriale per rendere credibile quel dolore silenzioso?
“Sono sempre stato un fan della voce narrante come tecnica narrativa. Amo il cinema di Billy Wilder, che ne fa un uso magistrale, ma anche la versione cinematografica originale di Blade Runner, quella con il voice-over, che preferisco alla director’s cut. Per me, toglierlo fu un delitto. Per il resto ho cercato di trasmettere il più possibile attraverso i gesti, il corpo, le movenze e le espressioni. Non ho esperienze teatrali né formazione scolastica, ma girando corti e guardando tanti film ho fatto la mia piccola esperienza”.
Come hai lavorato sulla colonna sonora, sul sound design e sulle pause, elementi fondamentali in questo racconto?
“La colonna sonora è stata la chiave di volta per l’ispirazione. Roberta Aversa, mia vecchia amica e cantante di enorme talento, è una fan di Lady Gaga. A un certo punto la vedevo postare Lady Gaga ovunque, fino a che ho gettato la spugna e mi sono detto: “Ok, hai vinto tu. Ascolterò tutta la sua discografia”. E sono arrivato al disco giusto e alla canzone giusta: “Angel Down”. I primi versi del brano mi hanno incanalato nella giusta via per dare forma al cortometraggio. Fin da bambino sono sempre stato un fan dei film che si aprono con una sorta di “sigla” iniziale. Uno dei miei primi ricordi cinematografici è “007 Goldfinger”. Adorai quella canzone d’apertura e per anni ho cercato la mia Shirley Bassey. Adesso l’ho trovata. La canzone nel corto parla esattamente del suo messaggio. Per me era giusto che fosse Roberta a cantarla. Quanto al sound design, alle pause e a tutto il resto, dico solo che quando sono in sala di montaggio mi sento come un pittore davanti a una tela. Mi lascio andare e il resto viene da sé”.
Cosa speri arrivi al pubblico dopo la visione? C’è un messaggio preciso o più un’esperienza emotiva?
“Il corto vuole trasmettere un messaggio di speranza a tutti coloro che si riconoscono nel protagonista, anche se il finale è amaro e può sembrare in contraddizione con il resto. Ma il “finale” di molte persone che hanno perso questa battaglia va spesso in contraddizione con i buoni auspici iniziali. È anche una feroce critica a chi guarda e commenta dall’esterno, sminuendo questo problema”.


Pensi di portare questo progetto ad un festival, ad una kermesse?
“Sì, credo che questo short movie farà un giro per i festival. È quasi un atto dovuto. Poi non si sa mai, magari vinco anche qualche premio, ma non è il mio obiettivo e non è il mio intento”.
Se dovessi riassumere questo corto in una sola parola, quale sarebbe?
“‘Forza’. Serve tanta forza e determinazione per risalire da quell’abisso”.
Come si colloca questo video nel tuo percorso artistico? È un anticipatore di progetti futuri o un lavoro isolato?
“Questo cortometraggio arriva dopo sei anni di silenzio, di mancanza di ispirazione. Ero arrivato perfino a non vedere più film. Mi sentivo tradito da quell’arte, ma in realtà stavo solo tradendo me stesso nel non metterla in atto. Questo corto è una ripartenza, una porta verso la mia nuova produzione. Sono carico a mille, ho tante cose da dire. Sono un fiume in piena”.
Parlando di te, come è nata questa tua passione e come ti sei strutturato per portarla avanti?
“La passione per il cinema viene da molto lontano, dalle serate adolescenziali al cinema con gli amici, dove sei lì e pensi: ‘Io sarei capace di fare quella roba lì’. È la passione che ti spinge a fare cose folli. Senza passione, si tratta solo di sopravvivere”.

Qual è il lavoro a cui sei più legato?
“‘Angel Down’ è sicuramente uno di quelli più significativi, ma ogni progetto lascia qualcosa. Però questo è stato un ritorno, quasi un urlo liberatorio dopo anni di silenzio”.
Come hai deciso di tornare davanti e dietro la macchina da presa dopo 6 anni e perché?
“Era arrivato il momento. Sei anni senza girare nulla, senza vedere film… era una condizione insostenibile per me. Dovevo rimettermi in gioco e ‘Angel Down’ è stato il modo più sincero e diretto per farlo. Ho sentito la necessità di raccontare questa storia e ho capito che dovevo farlo personalmente, mettendoci la faccia”.
Progetti in cantiere?
“Ho già la sceneggiatura per il prossimo cortometraggio. Voglio essere ambizioso, ma anche ponderato. Il mio motto è: ‘Fai le cose bene. Altrimenti non farle affatto'”, conclude il 39enne.