Aumentano le disuguaglianze salariali, giovani e donne i più penalizzati

Lo dicono i dati di Visitinps presentati oggi a Palazzo Wedekind dai ricercatori della Direzione centrale Studi e Ricerche INPS

La disuguaglianza salariale negli ultimi 30 anni è aumentata: lo dicono i dati di Visitinps presentati oggi a Palazzo Wedekind dai ricercatori della Direzione centrale Studi e Ricerche INPS. Dal 1985 al 2018, il reddito reale del 10% più ricco dei lavoratori è aumentato, mentre quello del 10% più povero è ulteriormente diminuito. Per entrambi gli indicatori c’è stata una crescita fino agli anni ’90, proseguita, seppur più lentamente, per i lavoratori più ricchi. Al contrario, per i più poveri c’è stata una battuta d’arresto e un declino dopo la crisi del 2008. Si tratta di una disuguaglianza fortissima, per il 72.9 % dovuta alla differenza di retribuzione tra vari settori e imprese, vale a dire che ci sono imprese che pagano sensibilmente di più rispetto ad altre: si tratta, solitamente, di quelle che si occupano di commercio di energia elettrica, trasporto ferroviario, riparazione dei macchinari, e dell’industria farmaceutica. A trainare la disuguaglianza sono invece 14 settori, che paradossalmente sono gli stessi che hanno visto il maggiore aumento di occupazione nel periodo di tempo analizzato: si tratta delle risorse umane e della ristorazione, seguiti da mense, alberghi, pulizie, e assistenza sociale. In particolare, il settore delle risorse umane, da solo, contribuisce al 18.6% della disuguaglianza, i ristornati al 18% e il settore delle pulizie per il 13%.

Tra i vari dati presentati nel corso della mattinata, colpiscono negativamente soprattutto quelli legati ai giovani e alle donne. Dal 1985 al 2018 è aumentato del 20% il divario tra il reddito di un lavoratore giovane e di un lavoratore anziano (dal 120% al 140%), sia perché oggi si entra in azienda partendo da posizioni peggiori rispetto a quelle di 30 anni fa sia perché si fa più fatica a salire: la maggior parte dei giovani in azienda sono infatti apprendisti, mentre tra gli over 55 prevalgono i manager. Per quanto riguarda le donne, invece, indicativo è innanzitutto che circa la metà sono impegnate in contratti part- time. Pur essendo diminuito rispetto agli anni ’80, il gender pay gap si attesta ancora intorno al 33.8%, per il 25% causato dal fatto che le donne sono prevalentemente impiegate nei settori meno remunerativi. Le donne hanno inoltre il 3% in meno di probabilità di spostarsi in imprese che pagano meglio. Colpisce poi il dato sul ‘top 0.1%’, ossia sui lavoratori che percepiscono i redditi più alti in assoluto: in gender pay gap in questa categoria arriva al 60%.

Tridico: “Servono leggi su contrattazione e salario minimo”

“Quello che è mancato negli ultimi trent’anni è stata l’integrazione tra politiche di sviluppo e del lavoro: così si continua a fare economia da bar e a produrre cattivi lavori”, ha dichiarato Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, nel corso della conferenza Palazzo Wedekind sui dati sulle disuguaglianze nel lavoro.

“Negli ultimi tre decenni- ha proseguito- abbiamo affrontato i grandi cambiamenti dati dalla delocalizzazione e dell’aziendalizzazione dei contratti con politiche di tipo microeconomico, come incentivi all’occupazione e con pirateria contrattuale come risposta all’instabilità dei rapporti di forza con il sindacato. Abbiamo speso in 13 anni 22 miliardi di incentivi all’occupazione con un impatto dello 0.002, praticamente nullo. Abbiamo permesso alle aziende di galleggiare con flessibilità e bassi salari, parlo ad esempio della ristorazione e del turismo, settori in cui la contrattazione è inefficace e non c’è salario minimo. Ad oggi, la riduzione del cuneo fiscale è l’unico aumento del salario netto che si è avuto in questi anni. Quando parlo di ‘integrazione’, intendo delle leggi che rendano la contrattazione più efficace, inoltre è necessario un salario minimo e politiche fiscali che non si limitino a un incentivo all’occupazione”, ha concluso. – Fonte www.dire.it –

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