FOCUS – Capretta presa a calci, allarme violenza tra i giovani. L’esperto: “Rieducare genitori e figli”

Parla il Dottor Fausto Russo, Psichiatra e Psicoterapeuta della coppia e della famiglia, Direttore UOC Salute Mentale Area Nord dell'Asl Frosinone

Anagni – Le immagini della capretta presa a calci da un giovane, mentre un amico filmava ed i presenti ridevano ed incitavano alla violenza hanno ormai fatto il giro d’Italia. Un episodio sul quale tanto è stato detto, a tratti anche troppo. Sul raccapricciante pestaggio, avvenuto lo scorso fine settimana in un agriturismo nel quale si stava festeggiando il compleanno di una diciottenne di Fiuggi, sono intervenute le associazioni animaliste; il panorama politico, provinciale e non solo, ha preso le distanze da quel gesto di inaudita violenza. La mamma di uno dei giovani invitati alla festa ha voluto fornire la sua versione dei fatti, affermando che, stando a quanto raccontatole da suo figlio: “La capretta era già morta”. Circostanza che, qualora venisse confermata nell’ambito delle indagini, potrebbe cambiare la posizione dei protagonisti dal punto di vista penale ma certo poco inciderebbe sotto l’aspetto morale, umano e sociale legato a questa triste pagina di cronaca.

La violenza dilaga tra i giovanissimi e sui social network. Dalle immagini dello stupro di gruppo consumatosi a Palermo fino a quelle del caso di Anagni, senza voler considerare gli innumerevoli precedenti, ciò che emerge è un fenomeno preoccupante che non può e non deve essere considerato solo quando i gravi episodi finiscono alla ribalta delle cronache, per poi sparire nell’oblio insieme all’interesse mediatico. Quello della violenza tra le nuove generazioni, diffusa o meno sui social, è uno spaccato della vita reale con il quale la nostra società deve cominciare a fare i conti in maniera concreta. La famiglia, la scuola, le istituzioni devono necessariamente cambiare approccio e lavorare in rete se davvero non vogliamo che tutto questo diventi un’aberrante normalità.

Per analizzare la cause ed i tanti aspetti che ruotano attorno a comportamenti ormai sempre più comuni, abbiamo intervistato uno dei massimi esperti sul territorio. Parla il Dottor Fausto Russo, Psichiatra e Psicoterapeuta della coppia e della famiglia, Direttore UOC Salute Mentale Area Nord dell’Asl di Frosinone.

“Rieducare genitori e figli all’empatia”: l’intervista

Dottor Russo, il video di Anagni ha suscitato reazioni in tutta Italia. La violenza tra i giovanissimi sembra essere un fenomeno inarrestabile. Possiamo parlare di un’emergenza sociale?

“Ritengo che sia necessario cercare il senso di ogni azione, anche quando si tratta di azioni non costruttive. Dunque, è importante chiedersi quale sia il senso, cosa ci sia dietro questa violenza sempre più diffusa tra le nuove generazioni. Questi atti eclatanti ed il desiderio di mostrarli ‘al mondo’, attraverso la diffusione sul web, altro non sono che la rappresentazione di sterili emozioni nelle quali i nostri giovani cercano rifugio. Dietro ci sono vite prive di interessi, di passioni, caratterizzate da una scarsa autostima e da un enorme senso di vuoto ed insicurezza. Ecco, queste sterili emozioni sono il “carburante” per sentirsi vigorosi, forti, sicuri e, soprattutto, per ottenere consensi alimentando la propria autostima. Più un’azione va contro le regole e contro la morale, più chi la compie si mette alla prova per sentirsi invincibile. Un senso di onnipotenza che, in breve tempo, intossica. Come il carburante sporco distrugge il motore dei veicoli, le sterili emozioni distruggono il nostro “io”, perché non si può vivere cercando a lungo gratificazione in azioni non costruttive. Dunque, se abbiamo paura di alimentarci con emozioni vere, forti, positive, feconde, andiamo incontro a due strade: quella dei comportamenti sconsiderati o quella della depressione e dell’isolamento”.

Ha parlato di “sterili emozioni”, quali invece quelle che dovrebbero guidare i nostri giovani?

“Una su tutte: l’empatia. La più efficace terapia contro tutto questo. La soft skill più importante in ogni ambito della nostra vita, dalle relazioni familiari alle amicizie, dalla scuola al lavoro passando per le relazioni sentimentali. Fa risuonare il mondo dell’altro dentro se stessi, immedesimarsi, ascoltare, percepire quello che l’altro prova significa cogliere emozioni positive che possiamo riconoscere anche dentro di noi, arricchendo il nostro ‘io’; rendendo la nostra personalità più matura e consapevole. Una maturità che nulla ha a che fare con l’età anagrafica. Se riuscissimo a cogliere la reale importanza di un’educazione di tipo empatico molti dei problemi che affliggono la nostra società potrebbero essere arginati. Quando non si riesce a dare la giusta rilevanza all’alterità, cioè non sappiamo cosa farcene dell’altro, questi finisce col diventare solo uno strumento per attribuire valore a se stessi in senso narcisistico. Pur di valere agli occhi dell’altro, nella speranza di colmare il vuoto del mio “io”, alzo il tiro, cerco alleanze per sentirmi più forte”.

Dunque, l’empatia potrebbe essere la giusta “terapia”. Ma, alla luce del fatto che non tutti sembrano nascere con questo “dono”, anzi, i più non sembrano avere neppure le basi per esercitarlo, quali strade intraprendere?

“Occorre rieducare all’empatia sia i nostri giovani che i loro genitori. Uno studio condotto in un’Università del Michigan, su 14.000 allievi, ha dimostrato che i giovani studenti hanno circa la metà dell’empatia rispetto ai nati tra gli anni ’80 e ’90. Aumentano tra i più giovani anche i disturbi comportamentali e mentali; questo perché la nostra società è molto più narcisistica di un tempo. In alcune scuole finlandesi è stata inserita un’ora di educazione all’empatia. Ecco, credo che dovremmo prendere esempio. L’empatia può essere insegnata, trasmessa. Il mancato rispecchiamento empatico nei genitori del bambino porta a comportamenti devianti in età adolescenziale ed adulta. Il bambino le cui fantasie vengono represse da genitori poco empatici non sarà un adulto equilibrato. Bisognerebbe allearsi con i propri figli, giocare e sperimentare con loro non reprimere mai le loro fantasie di onnipotenza e grandiosità e, soprattutto, non farli sentire giudicati in alcun modo. Quelle fantasie giudicate, schernite o derise si ripropongono in forma patologica nell’adulto che cercherà quell’approvazione negata trasgredendo. Il genitore dovrebbe, inoltre, non giudicare il bambino neppure quando sbaglia, insegnando che è dall’errore che si impara la strada giusta da seguire. E, poi, i figli vanno gratificati quando fanno qualcosa di costruttivo perché questo per il bambino o per l’adolescente significa che qualcuno si sia accorto di lui, della sua azione positiva elogiandola; questo lo porterà a perseguire altre azioni costruttive per ottenere gratificazione. Ecco, tornando al nostro incipit, non parlerei di azioni violente ma di azioni prive di senso in un tentativo disperato di placare il senso di vuoto dell’anima. L’istinto primordiale, violento, predatorio e animalesco, va educato attraverso l’empatia. Vale per i figli ma prima ancora per i genitori”.

Ma allora non può essere che dietro tanto desiderio di trovare approvazione dal resto del ‘mondo’ sui social, si celi un disperato tentativo di trovare empatia in chi ci sta accanto?

“Ritengo che l’utilizzo inconsapevole dei social sia l’esasperazione erronea di qualcosa di utile. Quando si diffondono comportamenti come quelli immortalati a Palermo o ad Anagni è stata utilizzata la parte disfunzionale di uno strumento che altrimenti potrebbe essere più che funzionale. Per utilizzo disfunzionale intendo dire che, attraverso i social, è possibile amplificare il terreno di confronto: non devo più solo ottenere l’approvazione della mia cerchia di amici o compagni di scuola ma quella di tutto il web. E allora faccio vedere la mia parte peggiore, perché non so cos’altro potrei mostrare per ottenere consensi. Forse perché nessuno mi ha educato a comprendere il mio potenziale che, al contrario, è stato represso. E qui torniamo all’educatore sano che per farmi prendere la strada giusta deve gratificarmi e non demonizzare i miei errori”.

Quali azioni, a breve e lungo termine, pensa si possano mettere in campo per scongiurare una deriva sociale?

“Penso a due soluzioni che ho potuto sperimentare anche personalmente. La prima riguarda la relazione fondamentale tra famiglia e scuola. Bisogna ritrovare il modo sano e corretto di relazionarsi. I genitori e gli insegnanti hanno il compito di educare, chi a casa chi a scuola, ed è un percorso che va fatto insieme. Penso ai genitori che insultano gli insegnanti per un brutto voto o per una nota ritenendo i loro figli geni incompresi. Ecco, questo voler sempre difendere e giustificare non è educativo. Per ritrovare una sana empatia andrebbero organizzati laboratori genitoriali; se si offrono modelli alternativi, con umiltà e pazienza, i risultati arrivano. La seconda soluzione, sicuramente più ad ampio raggio, riguarda la necessità di sviluppare una cultura di prossimità. Fare rete, creare modelli di prossimità, come proposto nel PNRR, è utile per evitare la degenerazione di determinati comportamenti. Con la Asl di Foggia stiamo portando avanti un progetto proprio in questa direzione. Noi come Asl di Frosinone “esportiamo” il nostro modello di ‘laboratorio di comunicazione’; da loro “importiamo” il modello di uno ‘sportello di prossimità’ nel quale mettere in rete tutte le risorse a disposizione. È questo il modello dell’intersoggettività, che ci fa comprendere come, in una relazione sana, l’”io” non è soltanto aperto ad un “tu”, ma -molto di più- è un “io” che si costruisce attraverso la relazione. Ciò che siamo è la somma dei vari “tu” che siamo disposti ad incontrare nel nostro percorso di vita. La società, dunque, è ognuno di noi inserito in una rete di relazioni: se tutti facciamo la nostra parte, la deriva può dirsi lontana”.

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Roberta Di Pucchio
Roberta Di Pucchio
Giornalista pubblicista

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