FOCUS – Emergenza femminicidi – 295 è il numero degli omicidi commessi in Italia nel 2021. 118 le vittime donne, di queste 102 sono state uccise in ambito familiare/affettivo e 70 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner. Nei primi mesi del 2022, ultimi dati ufficiali, le vittime di femminicidio sono già 38. L’ultima è una donna uccisa a Roma lo scorso 22 giugno. In provincia di Frosinone, nella notte tra il 2 e il 3 maggio scorso, il brutale omicidio di Romina De Cesare che ha sconvolto l’Italia intera. La giovane è stata Strangolata e pugnalata con diversi fendenti, a meno di 36 anni, dall’ex fidanzato Pietro Ialongo, 38 anni, che ora è accusato di omicidio volontario.
Una lunga scia di morte che va fermata. Ma, purtroppo, c’è ancora tanta strada da fare. Occorre intervenire, in primis sul piano sociale e culturale scardinando gli stereotipi di genere e i pregiudizi, rieducando le giovani generazioni affinché non ci siano più carnefici ma neppure vittime.
Un’emergenza riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che lancia un messaggio forte e chiaro: “La violenza contro le donne non è una faccenda privata. È un importante problema di salute pubblica, una questione di disparità di genere e una grave violazione dei diritti umani”. Questo il dato dell’Oms a riguardo: “Una donna su tre nel mondo ha sperimentato violenza fisica e psicologica, di natura sessuale o meno, a volte da sconosciuti ma nella maggior parte dei casi per mano del proprio partner”.
‘Un problema di salute pubblica’ perché le violenze, quando non sfociano nel più drammatico degli epiloghi, lasciano ferite profonde non solo fisiche ma anche psichiche. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Marzia Gabriele, psicologa dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, impegnata nel settore dell’assistenza e del supporto psicologico anche con l'”Associazione S.O.S. Donna sportello telematico e centro di ascolto”.

Dottoressa Gabriele, il 42% delle donne vittima di violenza da parte del compagno riporta delle lesioni. Ma ci sono danni che fanno meno clamore perché non si ‘vedono’. Non sono lividi ma ferite della mente e dell’anima che lasciano segni che durano nel tempo. Come riconoscerli?
“Gli effetti della violenza su chi la subisce possono essere devastanti. E va colto ogni segnale, anche quando non ci sono lividi, ossa rotte, referti medici. Il risvolto psicologico spesso è più profondo e le ferite della mente e dell’anima hanno bisogno di più cure e più tempo per risanarsi. Le vittime possono sperimentare sensi di colpa, autobiasismo, vergogna, paura e impotenza. Possono sviluppare risposte di ansia depressione e stress. In genere la violenza non si manifesta subito nella coppia ma è un percorso di escalation, la prima fase prevede un graduale aumento della tensione caratterizzato da liti frequenti e da tentativi della vittima di disinnescare, segue poi la fase dell’aggressione. Prima della violenza fisica c’è quasi sempre quella psicologica, più subdola, meno eclatante. E questa prima fase è quella che non va mai sottovalutata, minimizzata o giustificata”.
Ecco, quella psicologica è una delle forme più subdole di violenza. Come coglierne i segnali all’interno di una relazione?
“Chi esercita violenza psicologica è un individuo che utilizza l’altro per sottometterlo e sperimentare un senso illusorio di onnipotenza. Comportamenti dispregiativi e denigratori sistematici, parole offensive, umiliazioni, ridicolizzazioni, rimproveri, critiche, continui confronti con altre donne o precedenti partner, insulti, urla e minacce. Questi sono tutti segnali di una relazione ‘malata’. Per maltrattamento psicologico si intende quella serie di comportamenti che mira a svalutare una persona ponendola in una condizione di subordinazione e danneggiandone il benessere psicologico ed emotivo. I segnali di queste subdole forme di violenza nella coppia si verificano con abuso fisico e psichico da parte di una persona su un’altra che quasi sempre si trova in condizioni di inferiorità rispetto alla prima. Chi subisce violenza o stalking o conosce qualcuno che ne è vittima non deve esitare a chiedere aiuto. Oggi esiste il numero 1522 che è possibile chiamare h24 in casi di emergenza o per essere indirizzati nei centri antiviolenza che svolgono attività di consulenza psicologica, legale, familiare e di auto mutuo aiuto”.
Le conseguenze della violenza possono manifestarsi sia sul piano della salute fisica che su quello della salute mentale, tenendo conto del fatto che i due ambiti sono strettamente collegati. Come intervenire?
“Come detto, la prima cosa da fare è saper riconoscere i segnali di violenza e chiedere subito aiuto. Il 30-50% delle donne che ha subito un abuso ne porta le conseguenze a lungo termine, come evidenziato da uno studio dell’Oms sulla salute delle donne e la violenza domestica. Le donne che hanno subito violenza -sempre secondo lo studio – sono più soggette ad avere una salute fragile, sia fisicamente che mentalmente. Spesso, anche anni dopo, sviluppano forme depressive, soffrono di dolori cronici, confusione mentale e disturbi vaginali. Inoltre, sono più alte le probabilità che contraggano malattie sessualmente trasmissibili e che sperimentino un aborto. In termini di prevenzione e intervento i citati centri antiviolenza sono l’arma più efficace che abbiamo. Le strutture favoriscono la presa in carico socio- sanitaria assistenziale delle donne vittime di violenza, attraverso percorsi che garantiscono la continuità e l’assistenza. Gli operatori forniscono alle vittime un sostegno psicologico e giuridico in anonimato, nonché un servizio di informazione e di orientamento sulle risorse del territorio e le strutture pubbliche o private idonee ad offrire un servizio utile al caso”.
Lei collabora con ‘S.O.S Donna’. Quanto conta l’impegno delle Associazioni presenti sui territori per accompagnare le vittime nel percorso di uscita dalla violenza?
“L’associazione ‘S.O.S Donna sportello telematico e centro di ascolto’ con la quale collaboro è un’organizzazione no profit che opera nel distretto C e D della provincia di Frosinone.
L’uscita dalla violenza è un percorso difficile e lungo che la donna intraprende tra mille difficoltà.
Per questo è importante che la presa in carico sia basata sull’approccio integrato e focalizzato sulla persona al fine di attivare le reti locali. Le donne vittime di violenza e i loro familiari devono sapere che non sono soli e che chiedere aiuto è il primo passo per rinascere”.