Doveva essere il gran giorno, quello della riapertura. Ma nella provincia delle favole stortate, dove l’anatra zoppa continua a nuotare senza meta nel laghetto delle promesse mancate, la realtà ci riporta al solito copione: quello delle proroghe, dei rinvii e delle responsabilità che rimbalzano senza mai arrivare a destinazione.
Dopo mille rinvii, l’ultima scadenza fissata da Anas era il 30 novembre. Domani. Una data che non aveva convinto nessuno, perché già da settimane serpeggiavano voci di una riapertura “a metà” nel mese di dicembre. E infatti — guarda un po’ — nelle ultime ore si rincorrono indiscrezioni su una nuova ordinanza di proroga con riapertura al 12 gennaio. Sarebbe arrivata a Comuni interessati dal disastro.
Il problema? L’ordinanza non c’è. Almeno, non è pubblicata sul sito Anas, dove fino a oggi non appare alcun atto ufficiale che confermi il nuovo slittamento. Ed è proprio da Anas in primis che residenti e non dovrebbero avere risposte. Ma ad oggi è tutto un limbo. Domani, quindi, cosa succede? Si riapre? Si rinvia? O resteremo sospesi come sempre tra voci di corridoio e comunicazioni che arrivano quando tutto è già deciso? Forse domani, o forse lunedì, arriverà una risposta ufficiale consultabile. O forse no e, per dirla alla Lucio Battisti: «Lo scopriremo solo vivendo». Intanto, il territorio resta bloccato, piegato e umiliato.
Promesse e rinvii: una cronistoria infinita
Il cantiere nella galleria sulla Sora-Cassino parte il 18 marzo 2025, con chiusura totale della SS749 e un cronoprogramma di 14 mesi. Poi, un primo colpo di teatro: ad aprile, nella sede della Provincia, Anas assicura un’accelerazione.
«I lavori dureranno quattro mesi anziché un anno», commentava il presidente Luca Di Stefano dopo le interlocuzioni con i tecnici.
Ad agosto arriva un nuovo annuncio: turnazioni h24, sette giorni su sette, per “tagliare” i tempi che, intanto, si erano allungati. La nuova promessa? 18 settembre.
Ma già allora arrivano i primi segnali di allarme. Anas spiegava che “problemi geomorfologici inattesi e imprevedibili rendono necessaria una riprogrammazione”. La data slitta così a ottobre. In via ufficiosa, ovviamente.
Poi l’ultima versione, durante il sopralluogo autunnale: si arriverà all’inizio del 2026. “Forse”, da metà novembre, una riapertura parziale a senso unico alternato. Una toppa a un buco che si allargava già da settimane.
La beffa di un cantiere milionario
Quella che doveva essere un’opera strategica, finanziata con oltre 14 milioni di euro, si è trasformata in un calvario senza fine.
Sulla carta, un intervento di avanguardia:
– ripristino strutturale;
– nuovo sistema di impermeabilizzazione e drenaggio;
– impianti tecnologici all’ultimo grido (LED, antincendio, rilevazione fumi, videosorveglianza, trasmissione dati).
Tutto bello, tutto moderno, tutto promesso. Peccato che la galleria sia ancora chiusa e la modernità resti confinata ai comunicati.
L’inferno della strada alternativa
Intanto la viabilità della Valle di Comino e del Sorano è costretta a un percorso alternativo che, con l’inverno ormai arrivato, rasenta l’incubo quotidiano. Avvallamenti, buche come crateri, tratti franati, curve cieche, totale assenza di illuminazione. Segnaletica ridotta al minimo, copertura telefonica e GPS assenti.
Chi ci passa ogni giorno sa bene cosa significa: autobus e mezzi pesanti che devi evitare a pochi centimetri dal burrone; continui incidenti, soprattutto nella zona di Belmonte Castello, che paralizzano il traffico per ore. Un territorio lasciato a se stesso.
La rabbia dei cittadini
Il sentimento è sempre lo stesso: abbandono. I politici si fanno vedere ai sopralluoghi, stringono mani, sorridono davanti ai cantieri. Ma di quale sicurezza parlano? Quella dentro la galleria, che non è ancora percorribile? O quella lungo la strada alternativa, che non è degna di essere chiamata strada?
Troppe le domande che restano senza risposta: Perché non si è messa in sicurezza la viabilità alternativa? La riapertura parziale promessa per novembre era una soluzione reale o l’ennesimo specchietto per le allodole? Quanto dovrà ancora pagare un intero comprensorio, penalizzato nello sviluppo, nei collegamenti, persino nella quotidianità?
Una vergogna senza precedenti
La vicenda della Galleria Capo di China è ormai diventata il simbolo di un fallimento istituzionale. Troppi rinvii, troppe promesse, troppe parole. Troppa retorica e zero fatti. La sicurezza non è un titolo da conferenza stampa, non è una foto davanti al cantiere. La sicurezza è un diritto.
E questo territorio, oggi, quel diritto non ce l’ha. Finché non ci sarà chiarezza — e soprattutto una data certa, definitiva, reale — la galleria resterà non solo un cantiere, ma una ferita aperta. E una ferita che nessuno sembra davvero voler rimarginare.