Veroli – Una malinconia non troppo celata vela i suoi occhi di giovane donna. Giovane ma matura abbastanza da far vibrare una poetica intrisa di molteplici emozioni. La tristezza di ciò che non è stato, la fermezza di poter illuminare il proprio futuro, la generosità di donare cuore e altro a chi vive nel dolore e nel disagio. Il talento di saperlo mettere su carta e in versi. Versi che trasudano amore e sofferenza, mestizia e riscatto, forza e delicatezza. Le poesie di Patrizia Baglione sono potenti, come i temi che affronta. ‘Madre che resta’ è un piccolo gioiello. Autoprodotto dalla giovane autrice, il libro rappresenta un potenziale detonatore, pronto a far esplodere il dibattito su un argomento che resta fin troppo ‘scottante’ anche nella nostra ‘modernissima’ società del domani. L’aborto. Patrizia descrive nei suoi componimenti quel percorso che l’ha portata alla scelta di abortire. Intima e liberissima scelta, tutelata per legge. Eppure, troppo spesso si raccontano ancora storie di giudizi e pregiudizi su chi, nella piena consapevolezza dei propri desideri e delle proprie condizioni, decide di non proseguire una gravidanza. Il senso di inadeguatezza della ‘madre interrotta’ – che affonda le sue radici in retaggi religiosi in uno stato che per sua Costituzione si definisce ‘laico’ -, le cattiverie a cui di sovente viene sottoposta, il dramma interiore di un’opzione che non è mai semplice, danzano a braccetto con la compassione, con la volontà di autodeterminarsi in nuova forma. Così, dopo le sillogi ‘La mia voce’, ‘Malinconia delle nuvole’ e ‘Nero crescente’, la poetessa classe 1994, nata ad Arpino e residente a Veroli, torna a diffondere il suo intimo con ‘Madre che resta’. Un volume che va ben oltre ogni dimensione politica, accettando il fardello di un dolore che va metabolizzato, di una coscienza che tenta di sopravvivere e non farsi soggiogare dallo strazio, di un respiro, che seppur annaspante, grida ‘vita’. In un luogo obnubilato dalla retorica – a volte molto retrograda – del giusto e sbagliato, Patrizia diffonde una nuove luce. Noi l’abbiamo intervistata per conoscere quel percorso attraversato a piedi scalzi e che l’ha condotta in una nuova fase della sua esistenza.

L’intervista a Patrizia Baglione
‘Madre che resta’, è la sua ultima opera. Come è nata? Quali emozioni e sentimenti sono alla genesi del libro?
“Ho meditato ben due anni per la stesura di questo libro, ma forse meditare non è il termine più corretto. Per due anni ho immagazzinato tutto il dolore possibile e solamente lo scorso anno sono riuscita a mettere su carta le parole che avevo dentro”.
Quali tematiche affronta in questa raccolta poetica?
“La tematica, alla fine, è una e sola: la perdita. Descrivo con i versi le fatiche, le ossessioni, le giornate spaesate di chi ha dovuto abortire un figlio desiderato. Un argomento tanto forte che riesce a prendere fiato solo attraverso la poesia”.
Cosa deve aspettarsi il lettore da questa fatica?
“Amo sorprendere, ma questo non è un libro per fare successo. A ogni lettore è come se avessi donato la chiave che apre il mio cuore. Non pretendo neppure di essere apprezzata, ognuno è libero – magari con un pizzico di empatia – di dire la sua”.
In questo periodo della sua vita ha fatto molti cambiamenti…ci racconta chi è Patrizia oggi e cosa fa? “Patrizia oggi è una donna che sta rimettendo in ordine tutti i pezzi. La psicoterapia mi sta dando una grossa mano in questo, ma il lavoro “sporco”, quello, lo sto facendo da sola giorno dopo giorno. Non è mai facile ricomporsi, io lo dico spesso. Parlo apertamente di ogni argomento, che ancora oggi a causa di pregiudizi e ipocrisia viene considerato tabù”.
Prossimi obiettivi?
“Ho avuto un bellissima presentazione lo scorso sabato 6 luglio. È stata la prima. Come punto di ancoraggio, per iniziare questo percorso, ho scelto di partire dall’acqua. Il mare, dunque. È stato un momento di gioia e non di tristezza. In fondo mio “figlio” è venuto al mondo. E poi, a dicembre, metterò in pratica quello che è il senso di questo libro. Con parte dei proventi acquisterò giocattoli da donare al reparto oncologico del Bambino Gesù di Roma.
Mi piace pensare che a farlo sia stato proprio quel figlio che mai ha visto la luce, ma è stato in grado di donarla a me”.