Una testimonianza amara, che diventa denuncia pubblica. Ad Arpino, una professionista del mondo sanitario, Antonella, racconta il calvario della madre malata terminale e lancia un appello alle istituzioni, puntando il dito contro la burocrazia che – afferma dolorosamente – “toglie dignità ai malati e fa soffrire le famiglie”.
La vicenda inizia lo scorso 14 agosto, quando Antonella presenta la richiesta di attivazione delle cure palliative domiciliari del San Raffaele di Cassino per la madre, ormai in condizioni gravissime e bisognosa di assistenza continua: prelievi, alimentazione artificiale, infusioni di fisiologica e altro supporto medico.
Passano i giorni, interminabili, senza risposta. Il 21 agosto, preoccupata e anche arrabbiata, la donna richiama la struttura per avere chiarimenti. La risposta che riceve è sconcertante: le viene detto che manca la sua firma nella documentazione. Lei ribatte che la firma c’è, regolarmente apposta in fondo alla modulistica. A quel punto le viene spiegato che era necessaria anche in un altro punto, “più sopra”.
Il giorno successivo arriva un nuovo contatto, ma con una spiegazione ancora più sconvolgente e affliggente: “Per l’attivazione delle cure domiciliari, mi dicono dalla struttura – spiega ancora Antonella -, bisogna mettersi in lista, e mia madre può essere presa in carico soltanto perché quel giorno un altro paziente è deceduto“.
Una frase che ha lasciato senza parole la donna, che oggi denuncia pubblicamente quanto accaduto: “È possibile che per avere accesso alle cure palliative qualcuno debba morire al posto tuo? – si chiede – Mia madre ha diritto a un’assistenza amorevole, come ogni malato terminale. Deve essere tutelata dalle sofferenze che la malattia le infligge quotidianamente. Nessuna famiglia dovrebbe subire simili umiliazioni e attese infinite. Quanto accaduto ha dell’assurdo e dell’ignobile. Chiedo che queste cose non accadano più, che chi ha bisogno di questo genere di servizi lo riceva subito, senza umiliazioni e senza attese disumane. Mi faccio portavoce di chi, come me, sta vivendo mesi frastornanti, mesi di cui già conosciamo la terribile sorte e non possiamo neppure avere il conforto di un aiuto a cui abbiamo diritto! Non è accettabile che chi sta morendo debba passare inosservato e che i suoi familiari con lui. Questo grido di dolore e di giustizia non è solo il mio, ma di tanti che purtroppo vivono lo stesso dramma e che non conoscono neppure il settore sanitario, dove nonostante io lavori, non riesco ad arrivare ad una soluzione compatibile con lo stato di necessità in cui versiamo. Lo dico da lavoratrice ma ancor di più da figlia!”.
Con la sua testimonianza, Antonella rivolge un appello alle istituzioni: snellire le procedure, garantire tempestività e rispetto nei confronti dei pazienti fragili e delle loro famiglie. Perché, conclude, “la malattia già toglie tutto: non può e non deve togliere anche la dignità”.