La morte di Serena Mollicone è avvenuta per mettere a tacere la giovane. Non ha dubbi la procura di Cassino che nel ricorso presentato presso la Corte d’Appello ricostruisce l’intero omicidio. “Nessuno ha riferito i fatti come realmente accaduti; l’unica persona che avrebbe potuto raccontare l’accaduto sarebbe stata proprio la povera Serena Mollicone. Probabilmente è per questo che chi ha ucciso Serena Mollicone l’ha simbolicamente messa a tacere (le ha ‘chiuso la bocca’), sebbene non le abbia del tutto impedito di ‘parlare’ attraverso le tracce che il trascorrere inesorabile del tempo e le numerose ‘vicissitudini’ susseguitesi non hanno ciononostante cancellato”.
L’atto con cui è stata impugnata la sentenza assolutoria di primo grado dello scorso luglio per l’omicidio della 18enne di Arce porta la firma del procuratore capo di Cassino, Luciano d’Emmanuele e del sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo. “Si può ritenere – è la conclusione dei pm che chiedono la riforma totale della sentenza – che la condotta dei Mottola (tutti concorrenti sul piano materiale e morale) è stata, dunque, non solo assolutamente anti-doverosa ma anche caratterizzata da pervicacia e spietatezza, specie nel nascondere quanto realmente accaduto”.
E la decisione della Corte d’Assise di Cassino, di assolvere i cinque imputati (l’ex comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, la moglie Anna Maria e il figlio Marco, tutti e tre accusati di omicidio e due carabinieri accusati di favoreggiamento) va totalmente riformata “perché la motivazione è contraddittoria e/o manifestamente illogica e in alcuni casi mancante o apparente”. La Procura di Cassino ha costruito il ricorso in Appello anche sulla credibilità delle dichiarazioni rilasciate dal brigadiere Santino Tuzi e suffragate dai riscontri medico-legali e tecnico scientifici.
Scrive il pubblico ministero “le dichiarazioni del brigadiere Tuzi, che collocano Serena Mollicone in caserma quella mattina (il 1° giugno del 2001 giorno della sua scomparsa), in quanto si ritiene che questo sia il cuore pulsante del processo, perché questa Accusa ha dimostrato in dibattimento, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza, che le dichiarazioni di Tuzi (il brigadiere dei carabinieri morto suicida nell’aprile del 2008 dopo aver rivelato, a distanza di sette anni, di aver visto la studentessa entrare in caserma nelle ore precedenti la sua morte), attendibili per i motivi che si enunceranno in seguito, in combinato disposto con le consulenze tecniche effettuate, tutte atti irripetibili ex art. 360 c.p.p. che si sono dispiegate per circa un anno, sia quella medico-legale della professoressa Cristina Cattaneo, che quella ingegneristica dell’ingegner Remo Sala, che la merceologica dei Ris, che infine la consulenza biologica del capitano dei RIS Elena Pilli, dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio, secondo il criterio della convergenza dei molteplici, che il 01/06/2001 Serena Mollicone è entrata nella caserma di Arce e lì ha trovato la morte perché fatta sbattere contro la porta dell’alloggio a trattativa privata”.