‘Tom à la ferme’, il paso doble tra verità e finzione nel thriller esistenziale di Xavier Dolan

La recensione del quarto film dell'ex enfant prodige canadese: un melò gay tratto dalla pièce teatrale del drammaturgo Michel Marc Bouchard

Sicuramente fu uno dei migliori film in concorso al Festival di Venezia 2013, una delle sorprese più fortunate: ci pensò ‘Tom à la ferme’ a elargire aria nuova in quel della laguna. E dopo 11 anni la sua opera resta splendida. Tutto merito dell’allora giovanissimo regista canadese, quel Xavier Dolan appena 25enne e già alla quarta prova come regista. L’ex enfant prodige è davvero bravo e questa sua fatica lo conferma, affermando altresì quella maturazione che si attendeva e che non è stata delusa, soprattutto ora che Dolan ha alzato il tiro con il suo melò gay tratto – è obbligatorio farne menzione – dalla pièce teatrale del drammaturgo Michel Marc Bouchard.

La trama

Tom (Xavier Dolan) è un pubblicitario omosessuale che ha appena perso il compagno. Si reca così a casa dell’amato, nelle campagne del Quebec, per conoscerne la famiglia: la madre Agathe (Lise Roy) e il burbero fratello Francis (Pierre-Yves Cardinal). Quest’ultimo non vuole far scoprire alla donna che il suo figlio più giovane avesse una relazione con uomo e costringe Tom a mentire e poi a restare presso la fattoria di famiglia. Tra i due si innesca un pericoloso gioco di violenza, sopraffazione e sensualità.

Scintille e fuoco

Tom a la ferme è uno scontro tra due poli opposti, che deflagra in miliardi di scintille. Il mondo raffinato ed omosessuale di Tom mette prima un piede e poi fa irruzione in uno spaccato rurale e bigotto, estremamente conservatore, verace. Si instaura così un perverso gioco di corruzione, in cui Tom tenterà la fuga da Francis ma verrà contaminato dalle sue spore sanguigne e a sua volta lo invischierà con il suo polline liberatorio. L’equilibrio inevitabilmente si spezza, i legacci si sfibrano in estensioni di sessualità e violenza, desiderio e coercizione. La visione si disgrega in frammenti di sguardi e pulsioni represse. La materia tra le mani di Dolan richiama le variazioni hitchcockiane, evidenziate quando il commento musicale di Gabriel Yared echeggia volontariamente la colonna sonora di Bernard Hermann di “Psycho”.

Paso doble di verità e finzione

Francis mostra una certa omosessualità latente che reprime attraverso un comportamento crudele e a tratti al limite del patologico; Tom, a sua volta, prima si difende e poi resta abbacinato dal ragazzo, come nella sindrome di Stoccolma, divenendo schiavo alienato delle proprie depravazioni e complice sorprendente, fino alla resa dei conti. Coacervo di esistenzialismo, sonata macabra di amore e disgusto, Dolan sorprende per la competenza con cui evita il banale didascalismo o l’indagine stereotipata della cultura gay. Declina ogni possibile invito all’atteso e lascia lo spettatore a bocca asciutta negandogli il bocconcino che già aspettava. Visivamente curato in ogni dettaglio – è chiaro quanto il giovane Xavier conosca la settima arte – e molto ben interpretato, “Tom à la ferme” è un balletto ambiguo, fatto di ruoli intercambiabili e di identità da scoprire e poi celare: se prima è l’efebico Tom a temere il macho Francis, poi è il secondo a non voler perdere il primo. Motore delle vicende restano la coercizione e la menzogna, la paura e il desiderio, il bisogno di umana dignità, ma non manca una sottile vena ironica che spesso alleggerisce momenti estremi, fermo restando una tensione invadente ed erotica che non scende mai di tono.

In questa maliziosa partita giocata sul filo della tensione, l’elemento queer complica il jeux de massacre: basti pensare alla sensuale scena del tango, ennesima riferimento wonghiano (al drammatico ‘Happy Togheter’) -. Dolan riflette sulla coperta di menzogne con cui ci facciamo scudo davanti al mondo, anche attraverso il controverso e omofobico personaggio di Francis. Thriller esistenziale, paso doble di verità e finzione, smarrimento e ritrovamento dell’Io, melò costellato di violenza, sessualità, costrizioni…’Tom à la ferme’ è una varietà di cose. È un’ossessione. Puoi fuggire lontano, così come puoi fuggire dalla fattoria per ritrovare la dignità, ma quelle ossessioni ti aspetteranno sempre alla porta…

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Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli, giornalista pubblicista, specializzata in sport ma con una passione anche per musica, cinema, teatro ed arti. Ha collaborato per diversi anni con il quotidiano Ciociaria Oggi, sia per l'edizione cartacea che per il web nonché con il magazine di arti sceniche www.scenecontemporanee.it. Ha lavorato anche come speaker prima per Nuova Rete e poi per Radio Day e come presentatrice di eventi. Ha altresì curato gli uffici stampa della Argos Volley in serie A1 e A2 e del Sora Calcio.

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