‘Ultimo tango a Parigi’: disperazione, bellezza e scandalo nel cult senza tempo di Bertolucci

La recensione del capolavoro che, a distanza di oltre 50 anni, è considerato uno dei film più scandalosi del ‘900

Ha scandalizzato le platee e la critica, ha spiazzato ogni possibilità di giudizio razionale del proprio tempo e, ancora oggi, a distanza di oltre 50 anni è considerato uno dei film che hanno fatto più scalpore in tutto il ‘900. Parliamo di “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci, che dal 1972 desta curiosità di ogni genere e, nonostante esistano ancora alcuni detrattori, è innegabile stampare su questa pellicola il marchio di “capolavoro”, opera magnifica di un regista poco più che trentenne, il quale non ha paura a mettere in piazza le proprie fantasie sessuali. Fu infatti lo stesso Bertolucci a raccontare da dove trasse ispirazione per il suo lungometraggio: egli affermò di aver sognato di vedere una bellissima donna sconosciuta per strada e d’aver fatto sesso con lei senza sapere chi fosse.

La querelle giudiziaria

Facente parte, assieme a “Il conformista” e il successivo “The dreamers”, della trilogia sulla capitale francese, il film di Bertolucci fu sequestrato per “esasperato pansessualismo fine a se stesso” una settimana dopo la sua uscita europea. Cominciò così un iter giudiziario da manuale: prima una sentenza d’assoluzione in primo grado, poi una di condanna nel secondo processo d’appello che addirittura condannò la pellicola alla distruzione. Fortunatamente, alcune copie furono salvate presso la Cineteca Nazionale. A seguire una sentenza per offesa al comune senso del pudore, reato per il quale il regista fu privato dei diritti politici per cinque anni e fu condannato a quattro mesi di detenzione (pena poi sospesa). Nel 1982 la pellicola fu proiettata a Roma durante la rassegna cinematografica dal titolo “Ladri di cinema”. L’evento costò agli organizzatori una denuncia, che però non ebbe esito alcuno. La querelle si risolse definitivamente quindici anni dopo, nel 1987, quando il film fu riabilitato e ne fu  permessa la distribuzione nelle sale e poi il passaggio in TV. 

La trama

Paul è un quarantacinquenne rimasto vedevo, Jeanne è una bella ventenne fidanzata con un regista. I due si incontrano casualmente presso un appartamento da affittare in rue Jules Verne: l’attrazione è immediata e consumano un rapporto sessuale. Nasce così una relazione “domestica”, un’esplorazione delle rispettive sessualità, tutta vissuta all’interno di quelle quattro mura. Di “urbano” non c’è nulla, fuori le loro vite procedono senza intrecciarsi. Jeanne però si innamora di Paul, il quale la respinge per rendersi conto solo dopo di amarla. Ma oramai è tardi e la tragedia non può che spingersi fino alla propria disturbante conclusione.

Cos’è il tango?

Cos’è il tango? La danza delle classi popolari che l’aristocrazia fece suo, con un’appropriazione indebita. Nient’altro che un’improvvisazione pulsionale, la presa di coscienza dell’istinto, il potere dell’animalità di fronte che supera il raziocinio, sebbene la ragione tenti di tenerlo a bada con quel suo tempo regolare, convenzionale, cadenzato con metronomica precisione. È la chimera della liberazione dallo schema, il tango. Un miraggio che è già sanguinante dell’amara consapevolezza della propria fatuità.

Un’esperienza disperata

Traumi personali e societari che si imprimono nei ricordi della generazione sessantottina e di quelle successive soprattutto grazie alla magnetica presenza di un Marlon Brando un po’ ingrigito e pericolante, sull’orlo della distruzione, ma anche grazie alla bellezza e femminilità di Maria Schneider, divisa tra il desiderio di ribellione ed un’istanza di conformismo. Non esiste altro al di fuori di quella scatola dove i due amanti danno sfogo ai propri desideri, appartamenti, porte, alberghetti squallidi che imprigionano protagonisti e comprimari nella corsa verso la fine. Paul e Jeanne non sanno chi sono, ma in compenso costruiscono nuove identità con cui giocare intimamente, personalità false ma non troppo, vere ma non eccessivamente. Sono insieme eppure sono soli, sono enigmatici, duali, dubbiosi, come dubbiosa è la società che vivono, l’epoca che incarnano. Siamo catapultati in un’era di transizione, con la rivoluzione femminista e le sue contraddizioni, il desiderio di scardinare le imposizioni sul rapporto di coppia, sulla possibilità di analizzare il proprio desiderio sessuale sotto la lente della pulsione animalesca e nevrotica. La supremazia dell’Eros si sublima nell’odore di decomposizione che avvolge la morte. Un tormento post-moderno sull’impossibilità della comunicazione: ci si ama perché non ci si conosce, sembra dichiarare fondamentalmente Bertolucci. Un’esperienza disperata, un urlo sordo destinato a lacerare lo spettatore in virtù di una fine che sembra preannunciata. Se si pensa alla regola della non comunicazione, trasgredirla vuol dire solo e soltanto fine. E la fine, in questa tragica storia dal sapore decadente, non può che realizzarsi con la morte.

Stilisticamente, ancora una volta encomiabile il lavoro di Storaro sulla fotografia, ambigua ma carezzevole, lirica oppure livida, secondo le esigenze, così come è impossibile non apprezzare il lavoro di Gato Barbieri sulla colonna sonora. Grande prova alla regia di Bertolucci, per un film di rara profondità, con un gioco di primi piani e piani sequenza davvero eccezionale.

Un tango che è davvero l’ultimo, l’essenziale, quello che chiude definitivamente il sipario su una vita, o anche più di una. Depennata la sensualità, la trasgressione di un rapporto che doveva essere la panacea alla solitudine, non resta che spingersi più in là. Eros e morte danzano insieme, ma al volteggio finale resta in piedi solo la star in nero.

Dettagli

Titolo originale: Last tango in Paris
Regia: Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli
Fotografia: Vittorio Storaro
Cast: Marlon Brando, Maria Schneider, Massimo Girotti, Jean-Pierre Léaud, Laura Betti, Giovanna Galletti, Maria Michi, Veronica Lazar, Catherine Allégret, Catherine Breillat

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Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli, giornalista pubblicista, specializzata in sport ma con una passione anche per musica, cinema, teatro ed arti. Ha collaborato per diversi anni con il quotidiano Ciociaria Oggi, sia per l'edizione cartacea che per il web nonché con il magazine di arti sceniche www.scenecontemporanee.it. Ha lavorato anche come speaker prima per Nuova Rete e poi per Radio Day, e presentatrice di eventi. Ha altresì curato gli uffici stampa della Argos Volley in serie A1 e A2 e del Sora Calcio.

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