Emergenza suicidi in Ciociaria, otto morti in un mese: mentre la politica tace la strage continua

L'11 giugno i morti erano 7. Ci eravamo appellati al Presidente Rocca: a poche ore da quell'ennesimo appello, un altro giovane si è ammazzato

Otto morti. Otto suicidi in poco più di un mese in provincia di Frosinone. Un’emergenza sociale che politica ed istituzioni continuano ad ignorare, restandosene in silenzio e fingendo che il problema non esista. Ma la scia di sangue continua ad allungarsi. L’8 maggio scorso il primo drammatico episodio, la vittima aveva appena 22 anni. Da quel giorno è toccato ad altri quattro ragazzi, tra i 16 ed i 34 anni e a tre uomini tra i 57 e gli 88 anni. L’ultima tragedia appena tre giorni fa. Non dei meri numeri che vanno ad implementare le casistiche ma persone. Vittime di un sistema, assistenziale e sanitario, che ha evidentemente fallito. Vittime del silenzio assordante degli esponenti politici di questo territorio che in 34 giorni, troppo presi dalla campagna elettorale, hanno ignorato, volutamente o per grave mancanza di attenzione alle dinamiche della provincia che dovrebbero rappresentare, quanto stesse accadendo da nord a sud della Ciociaria.

I nostri giovani si ammazzano. Si gettano da finestre e balconi, si uccidono con corde intorno al collo o armi da fuoco. Mentre i “leader” della politica pensano al toto voti. Mentre sbandierano comunicati su “vittorie” elettorali, dimenticando di aver perso la battaglia più importante. Quella per salvare vite. Ebbene sì, perché la politica dovrebbe avere a cuore in primis i cittadini. Non una nota stampa, non una riflessione, non un interrogativo in questi 34 giorni. Nessuno si è chiesto cosa stesse accadendo. E intanto figli, fratelli, sorelle, padri di famiglia sono morti. Hanno sofferto a tal punto da pensare che il gesto estremo fosse l’unica soluzione per metter fine a quel dolore che sembrava essere senza via d’uscita. Orbene, signori, abbiamo fallito. Su ogni fronte possibile.

C’è un numero, una statistica, un dato dopo il quale si comincia a pensare che sia realmente un’emergenza? C’è una deadline? Una linea di confine da non oltrepassare? Quanti ne servono ancora? Considerando che, comunque vada, non abbiamo a che fare con una questione di poco conto o con un problema dalla facile e immediata soluzione, vorremmo sapere quando si inizierà a discuterne. Salvo poi prendersi le responsabilità di tutti questi silenzi.

Le urne sono chiuse, otto bare anche

Le urne si sono chiuse. Insieme ad otto bare. È un dato di fatto, per qualcuno forse scomodo ma drammaticamente reale. Il 23 maggio scorso – LEGGI QUI – parlavamo di quattro suicidi in due settimane. Il 6 giugno ci interrogavamo sul perché si fosse arrivati a cinque vittime, tra cui un minore – LEGGI QUI -. L’11 giugno i morti erano sette. Parlando dell’emergenza avevamo lanciato un appello al Presidente della Regione, Francesco Rocca – LEGGI QUI -. Anche in quella circostanza, nessuno si è sentito chiamato in causa. A poche ore da quell’ennesimo appello, un altro giovane si è ammazzato. La bara numero 8 sta per essere chiusa. Nel silenzio e nell’indifferenza di politica ed istituzioni.

L’unico grido di dolore, vero, reale, straziante, resta quello delle famiglie condannate ad una pena senza fine. Condannate a fare i conti per il resto della vita con un senso di colpa schiacciante per non essere riuscite a fare abbastanza. La verità è che non spettava a loro salvare le vite dei propri cari. Doveva farlo chi ha tagliato e continua a tagliare milioni e milioni di euro di risorse sulla salute mentale per destinarli a chissà quali altre priorità.

Le politiche d’investimento sulla salute mentale sono un fallimento

Per chi non l’avesse ancora compreso, riproponiamo un dato su tutti: in provincia di Frosinone, stando alle stime di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, in rapporto alla popolazione, servirebbero almeno 40 psichiatri nelle strutture ospedaliere preposte. A conti fatti, non arriviamo neppure alla metà. Servirebbero almeno 20 neuropsichiatri infantili, ne abbiamo all’incirca 7. I Csm della provincia sono al collasso. Per non parlare del Reparto di SPDC, unico superstite di un’impietosa politica di tagli alla sanità che ha chiuso la porta in faccia a migliaia di famiglie lasciandole sole. 

Serve fare rete attorno ai soggetti fragili. Dalla scuola, alla famiglia, ai luoghi di lavoro. Siamo davanti ad un’emergenza sociale che non può più essere sottovalutata. Otto morti. Possono bastare perché chi di competenza si decida ad intervenire?

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Roberta Di Pucchio
Roberta Di Pucchio
Giornalista pubblicista

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