Cassino – Mancata bonifica della discarica dei Panaccioni, la Procura cita in giudizio ex presidente e direttore Saf

L'ex sito comunale - dal 2022 di proprietà della Società Ambiente Frosinone - doveva essere già stato recuperato

“Informazioni sull’avanzamento della bonifica della discarica di Panaccioni”: è uno degli argomenti principali nella richiesta di incontro col sindaco di Cassino inviata nelle ultime ore dal “Comitato per la Liberazione dei Diritti dei Cittadini e la Restaurazione dei doveri delle istituzioni”. Logico pensare che in Piazza De Gasperi di questo – come di tanti dossier ambientali rilevanti, dal Nocione all’ex Marini – debbano sapere davvero tutto, visto che il Comune è stato responsabile dell’intera vita dell’impianto, dall’apertura di trent’anni fa fino alla chiusura ed al progetto di bonifica.

Ma il bello è che ormai la vecchia “patata” – sempre bollente – ce l’ha in mano per intero la Saf di Colfelice. Il terreno dove sorge l’immondezzaio – aperto nel 1994 dalla prima giunta Petrarcone nel corso di una delle tante emergenze rifiuti, con la città disseminata di sacchi della spazzatura e di cassonetti traboccanti -, è stato comprato nel 2022 dalla Società Ambiente Frosinone durante la gestione dell’ex presidente Lucio Migliorelli. C’è stato un esborso di poco meno di un milione di euro andati al privato proprietario del terreno. Ma Migliorelli adesso, nella qualità di rappresentante legale dell’epoca, insieme al direttore dell’impianto ingegner Roberto Suppressa, è finito citato a giudizio dalla procura della Repubblica di Cassino. Il motivo? Non aver provveduto alla bonifica, al recupero ed al ripristino dello stato dei luoghi.

Le domande connesse alla notizia giudiziaria sono molte e tutte più politiche che altro: la Saf avrebbe potuto davvero bonificare il sito? E poi: perché mai decise di acquistare la discarica dei Panaccioni che avrebbe comportato solo il prevedibile esborso di somme enormi per la bonifica e che quindi valeva quel che valeva come un luogo inquinato e abbandonato da decenni? O c’erano altri progetti come quello del ventilato ampliamento? Tutte questioni che, più che al codice penale, attengono al tipo di governance pubblica subita dal nostro territorio ed all’andamento da sempre caotico e problematico dello smaltimento dei rifiuti urbani in provincia di Frosinone.

Le emergenze con città sommersa di immondizia da Di Zenzo al primo Petrarcone

Saf, come detto, si ritrova implicata in questa vicenda solo da tre anni. La Regione Lazio aveva individuato il sito dei Panaccioni quale localizzazione idonea ad ospitare lo stoccaggio di rsu sin dal 1988, quando al Comune di Cassino sedeva il sindaco dell’epoca Marcello Di Zenzo. Già allora c’erano difficoltà gravi nella gestione dei rifiuti. Cassino in quel momento aveva una stazione di carico completamente ingolfata dall’immondizia, circa duemila quintali, erano stipati di rsu tutti i mezzi della ditta appaltatrice, che si ritrovava senza discarica dopo la chiusura al conferimento di rifiuti cassinati dell’impianto campano di Castelvolturno. Si trattava di aprire una discarica comunale anche nella Città Martire e così, al di là dell’ordinanza di Di Zenzo con relative proteste popolari nella zona interessa, che ricade nella verde frazione di Sant’Angelo in Theodice, si arriverà all’effettiva attivazione del sito solo nel 1994, mentre la città era sommersa di nuovo da immondizia, puzza ovunque e rischi per la salute pubblica. Fu l’amministrazione comunale dell’epoca a prendersi la responsabilità di decidere e dare una svolta alla vicenda. I rifiuti di Cassino vennero intanto spediti in Calabria, almeno stando alle carte ufficiali. Il tempo necessario ad aprire il primo bacino dei Panaccioni: l’amministrazione comunale realizzò e a ritmi elevati saturò l’invaso. Nel provvedere all’avvio dei lavori per il secondo bacino, la giunta Petrarcone raggiunse un accordo con la Reclas – gestita a quel tempo da un commissario regionale – per il trattamento e lo stoccaggio dei sovvalli cassinati. Queste furono le premesse per una prospettiva più ordinata nella gesione del ciclo rsu.

Provincia disseminata di ex siti comunali e col rebus dell’utilità del Tmb di Colfelice

Correva l’anno 1996. Si andò avanti ancora fino ai primi anni duemila con le discariche comunali. Tanto che l’allora onorevole di An Oreste Tofani, in commissione parlamentare, era il 9 aprile 2003, dichiarava: “In provincia di Frosinone ci sono ancora 91 siti che devono essere verificati, più o meno un sito per ogni comune della provincia: si potrebbe anche ipotizzare una autogestione dei comuni, quanto meno in una fase di verifica, al fine di capire cosa sia necessario. C’è ancora la possibilità di conferire su Malagrotta? Come in altri momenti è avvenuto, vediamo se questi rifiuti possano essere accolti altrove, ma fermiamo l’impianto: studiamolo, verifichiamo se sia possibile renderlo efficiente oppure se, per il modo in cui è nato, non potrà mai esserlo”. Il riferimento era ovviamente a Colfelice ed al suo Tmb da sempre al centro di dubbi sull’effettiva funzionalità. Panaccioni a pieno titolo si inserisce in questo contesto di gestione disastrata. La Reclas in liquidazione finirà in un processo per bancarotta dopo aver concluso ogni attività come società nel 2017. L’impianto di trattamento meccanico e batteriologico è in azione dal 1997 e passerà nella proprietà della Saf, società consortile che vede associati i 91 Comuni e la Provincia di Frosinone.

Panaccioni nel Sin con ben 121 ex discariche. Nel 2017 i primi fondi per la bonifica

Nei primi anni 2000 Panaccioni faceva parte dei siti perimetrati nel Sito di Interesse Nazionale ai fini di Bonifica (SIN – poi declassato) delle discariche della provincia di Frosinone: costituito da ben 121 ex discariche. Con determinazione dirigenziale n. G14739 del 30 novembre 2017 la Regione Lazio metteva a disposizione il finanziamento per l’amministrazione comunale. Chiederà chiarimenti in Parlamento la deputata M5S Ilaria Fontana. Ma i due bacini zeppi di rsu delle campagne santangelesi – ceduti il 3 agosto 2022 dai proprietari alla Società Ambiente Frosinone SpA – stanno ancora lì e hanno in un certo senso un valore “archeologico” ormai: rappresentano l’oggetto simbolico più antico della cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani in provincia di Frosinone.

Una terra, la nostra, che peraltro vede ancora interrati ovunque, dal capoluogo fino ai borghi di montagna, immondizia degli anni del fai-da-te comunale, giunto al collasso proprio in quel periodo maleodorante alla fine degli anni ’90. Le cose sono cambiate in meglio nel senso che è partita la differenziata e le discariche sono state individuate singolarmente per servire bacini provinciali. Ma i problemi restano e il fascicolo aperto dalla Procura di Cassino ci riporta coi piedi a terra. Perché in fondo è vero: giusto occuparsi di come arrivare ad un ciclo virtuoso dei rifiuti, con impianti tecnologicamente adeguati ed emissioni sotto controllo. Ma non bisogna dimenticare le bonifiche, che comunque – quando arriveranno effettivamente – potranno attutire i danni provocati e mai restituirci la salubrità degli ambienti contaminati in centinaia di luoghi perduti, ormai da decenni, nelle campagne della Ciociaria.

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Stefano Di Scanno
Stefano Di Scanno
Giornalista Professionista

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