Stabilimento di Piedimonte sempre più a rischio chiusura totale e definitiva mentre il gruppo automobilistico a guida francese (famiglia Peugeot ed Eliseo), con la complicità degli Elkann, annuncia l’espansione dello stabilimento di Kenitra in Marocco con 3.100 nuovi posti di lavoro, produzione di veicoli elettrici a marchio Fiat, Citroen e Opel che passa dalle attuali 200 mila a 540 mila vetture entro il 2030. Più del doppio di quel che Stellantis produce in Italia, furgoni e veicoli commerciali inclusi. Ma l’obiettivo per il Marocco fissato a Parigi è di un milione di auto: il quadruplo dell’attuale produzione nazionale ed il mitico obiettivo indicato dall’improbabile ministro del made in Italy.
Nonostante il cambio di Ad, la transizione dal fallimentare portoghese Carlos Tavares al partenopeo Antonio Filosa – attraverso l’interregno improduttivo di John Elkann -, per il Bel Paese nulla cambia. Resta la piena produzione e saturazione delle linee in Francia e prosegue senza sosta lo smantellamento dei siti italiani, iniziato subito dopo la finta fusione Fca-Psa, autentica acquisizione della seconda realtà più piccola rispetto alla prima che avrebbe potuto fare un sol boccone del gruppo di Sochaux.

Ma il sistema Italia a difesa degli interessi nazionali non esiste ed oggi le mille parole spese da Stellantis al tavolo ministeriale del Mimit, con il ministro Adolfo Urso a rilanciarle spacciandole per impegni puntuali e affidabili, si dimostrano quel che sono sempre apparse al resto del Paese investito dal crollo di quello che era il primo comparto manifatturiero italiano: una presa in giro a Roma ed ai dipendenti dell’ex Fca – circa 12mila sono stati spediti a casa con incentivazioni varie – oltre che all’intera filiera dell’indotto automotive, immiserito e costretto a chiudere battenti in molti casi dopo aver esaurito gli ammortizzatori sociali, mentre la volontà dell’azienda è altra. Il caso Marocco lo dimostra. Manca del tutto ogni scelta che metta in salvo il nostro Paese ed il declino pare irrefrenabile.

L’incubo che il sito cassinate si trasformi nel terminal dei bus diretti a Pomigliano
Non c’è chi non si chieda cosa farà adesso Filosa che, avrà pure scelto la sua sede centrale di guida del gruppo col suo team fidato a Detroit, ma al volere di Parigi deve pur sempre rispondere. Ed è davvero difficile credere che un uomo ex Fca non abbia chiesto nulla per l’Italia, il suo Paese, la culla dei marchi italiani che hanno plasmato la storia della penisola e che ora sono irriconoscibili perché trasformati tutti in modelli Peugeot appena camuffati e scadenti (basti pensare ai richiami per il motore PureTech dopo che sono stati affossati i motori Fiat). I rumors che arrivano dal gruppo automobilistico parlano di un Ad sempre più in difficoltà, che avrebbe chiesto per i siti tricolori senza ottenere. Del resto, a parte le visite a Mirafiori ed a Modena nei primi giorni al vertice della società, Filosa non è apparso altrove negli stabilimenti italiani, non ha rilasciato dichiarazioni e meno che mai ha delineato strategie. Ad oggi l’ultimo che ha parlato ed ha messo la faccia col governo italiano è stato il responsabile Europa di Stellantis, il francese Jean Philippe Imparato. Poi c’è stata la passerella in audizione parlamentare di Elkann che però ha lasciato tutti delusi per l’inconsistenza dei contenuti.
Da questa panoramica nascono le voci su Filosa che parlano di un suo crescente nervosismo che potrebbe sfociare nella decisione di issare bandiera bianca. La resa anche dell’ad italiano – che potrebbe essere stato scelto per la sua nazionalità e per dare alle scelte transalpine una classica “lavata di faccia” – potrebbe non essere lontana. E Piedimonte resta al centro della crisi più nera mai registrata dall’auto italiana. L’unico turno potrebbe perfino saltare ed essere sostituito da una serie di autobus per portare gli ultimi lavoratori cassinati a fare qualche giornata in officina a Pomigliano d’Arco. Un incubo soprattutto per i sindacati confederali che hanno creduto a lungo che la svolta stesse arrivando. Ma che oggi preferiscono in buona parte tacere. Fiom e Uilm hanno capito l’antifona da tempo ma anche Fim appare drammaticamente consapevole.
La fotografia Fim-Cisl: 50 giornate di fermo produttivo e 700 in contratto di solidarietà
Eloquenti i dati del report Fim-Cisl diffuso il 15 luglio. Nel primo semestre 2025, la produzione a Cassino è crollata a 10.500 unità, segnando un -34% rispetto al 2024. Un dato tra i più negativi nella storia dello stabilimento. Dal 2021 si lavora su un solo turno, con un impatto diretto sull’occupazione e sull’utilizzo degli ammortizzatori
sociali. La produzione attuale è così suddivisa: 26% Alfa Romeo Giulia, 49% Stelvio e 25% Maserati Grecale, anche in versione full electric. Ma i numeri non bastano: basti pensare che nel 2017 si produceva sette volte tanto, con circa 2.000 lavoratori in più rispetto agli attuali 2.400. Nei primi sei mesi del 2025, si sono registrate oltre 50 giornate di fermo produttivo; nelle giornate lavorate, circa 700 lavoratori sono stati coinvolti nel Contratto di Solidarietà. “Lo stabilimento ha enormi potenzialità – avvertono dalla Fim-Cisl -, ma senza un piano chiaro e tempi certi si rischia di prolungare l’incertezza. A Cassino è stata assegnata la nuova piattaforma STLA Large BEV, sulla quale si produrranno le future Alfa Romeo Stelvio e Giulia, anche in versione ibrida. Tuttavia, il lancio, inizialmente previsto per fine 2025, è stato rinviato ai primi mesi del 2026: un rinvio che giudichiamo negativamente, poiché rischia di allungare la fase critica e il ricorso massiccio agli ammortizzatori. Durante l’ultimo incontro al MIMIT è stato confermato l’arrivo di un terzo modello “top di gamma” per il 2027, ma non è ancora stato comunicato il brand. Per tutto il 2025, purtroppo, la situazione produttiva resterà debole e preoccupante”. Ma la questione, come visto, non riguarda il 2025 e neppure il 2026: qui appare ormai chiaro a tutti che lo stabilimento cassinate rischia di essere fatto fermare per sempre.
La Fiom vuol conoscere i piani di Filosa. Il governo fa balenare le riconversioni
il segretario generale della Fiom-Cgil nazionale, Michele De Palma, ha avvertito: “In Stellantis c’è un nuovo amministratore delegato”, Antonio Filosa, “e vogliamo vedere il piano che presenta. Perché il marchio Maserati oggi è in una crisi verticale, così come il marchio Alfa Romeo e come tutti gli stabilimenti in Italia del settore automotive. Attendiamo che l’ad Filosa convochi un tavolo con le organizzazioni sindacali. È necessario anche che il Governo e le Regioni interessate intervengano in un piano di investimenti, ma nel momento in cui c’è un piano”.

Da parte sua il governo continua – nonostante tutto – ad ostentare ottimismo. Il sottosegretario Massimo Bitonci, rispondendo ad una interrogazione di Azione, ha evidenziato che il Piano Italia, presentato da Stellantis a dicembre, “solo quest’anno prevede sei miliardi in acquisti da fornitori italiani fino al 2030 e investimenti per due miliardi per gli stabilimenti italiani. Il Piano garantisce il mantenimento della capacità produttiva nazionale e dei livelli occupazionali”. Inoltre, “è stata avviata la costituzione di un tavolo tecnico con imprese e Regioni, volto alla riqualificazione dei lavoratori, nonché a sostenere le aziende della filiera nella diversificazione e riconversione delle attività verso settori in crescita, come difesa, aerospazio, blue economy e cybersicurezza, così da garantire tutele occupazionali e nuove traiettorie di crescita”. Il sottosegretario assicura che il ministero “continuerà a difendere gli interessi del settore automotive e a lavorare con le parti datoriali e sindacali per superare le difficoltà riscontrate”.
Ci salverà davvero la riconversione dell’automotive nell’industria della difesa che torna a prospettarsi come fosse un salvagente appena gonfiato e pronto all’uso?