Pungente e provocatorio, punta il pennello contro quelle dinamiche odierne che ci rendono schiavi del consumo. La sua ricerca artistica più recente indaga tematiche strettamente legate alla contemporaneità, attraverso la rivisitazione di iconografie classiche. Parliamo dell’artista di casa nostra Cesare Pigliacelli. Nato a Patrica, nel 1957, oggi Pigliacelli è un affermato grafico pubblicitario in provincia di Frosinone e non solo. Nonostante il suo lavoro lo abbia completamente assorbito, negli anni, Cesare non ha mai abbandonato il suo primo amore, la pittura, nella quale ha continuato a sperimentare e sperimentarsi, regalando agli appassionati opere di assoluto rilievo.

Nei suoi lavori interpreta il mondo attuale attraverso una rappresentazione minuziosa, raffinata e significativa. Dalle opere emerge un’idea di società moderna che, attraverso un’analisi scevra da ipocrisie ed appartenenze, si rivela allo stesso tempo complice e vittima del consumismo che inevitabilmente la porta alla deriva. Spunti di riflessione dai quali partire, anzi ripartire, che sono un inno alla ‘bellezza’, quella bellezza che l’artista contrappone alle brutture ed alle storture del nostro tempo. Le tele del Pigliacelli enfatizzano il consumismo che rende schiavo l’uomo della moderna società; gli ‘oggetti del desiderio’ attuali, dagli smartphone alle automobili, quei beni protagonisti di molti spot pubblicitari ai quali il Pigliacelli grafico lavora, vengono trasformati in oggetti ‘provocatori’ dal Pigliacelli artista. La pubblicità, sua compagna di vita nel lavoro, si trasforma, così, in fiera nemica nella sua arte. Essa ci induce a consumare sempre più prodotti di cui non abbiamo bisogno attraverso la creazione di esistenze perfette, artificiali e irreali. Uno schema che viene completamente capovolto nelle opere dell’artista.
Dalla prima opera ad oggi
Cesare Pigliacelli realizza i suoi primi lavori negli anni del liceo artistico e, da allora, non ha mai smesso di portare avanti la sua ricerca pittorica che, dagli esiti informali e astratti dei dipinti risalenti al periodo in cui frequentava l’Accademia di Belle Arti, è andata configurandosi sempre di più sul versante figurativo ed “iperrealista”. Grazie ad un uso sapiente della tecnica ad olio, l’artista riesce a riprodurre, con precisione e vividità quasi fotografiche, figure ed oggetti estremamente dettagliati. Tuttavia, l’iperrealismo propriamente detto, nei suoi quadri, si discosta dal mero virtuosismo tecnico ed è volto invece a stimolare un coinvolgimento diretto dello spettatore indotto prepotentemente ad interrogarsi sulla realtà e sulle contraddizioni della società contemporanea.

“L’iperrealismo delle antinomie“
Le opere realizzate dall’artista nell’ultimo decennio possono essere descritte come “l’iperrealismo delle antinomie”. Sotto il comune denominatore dell’iperrealismo, l’antinomia si compie nel modo stesso di dipingere dell’artista che riesce a coniugare due immaginari apparentemente inconciliabili: la tradizione visiva passata, ossia quella dei grandi maestri della pittura e dei temi religiosi, e un linguaggio più contemporaneo, vicino agli stereotipi e ai registri visivi e verbali propri della pubblicità. In questo senso, l’arte di Cesare Pigliacelli vuole essere la risposta ad una tensione costante tra le due anime dell’autore, quella dell’artista e quella del pubblicitario.
‘Ecce homo’, olio su tela del 2011, è – come spiega lo stesso Pigliacelli – “Un ritratto dell’uomo contemporaneo, un essere che esprime solitudine, isolamento, malinconia, impotenza e senso di prigionia. Nell’opera, un’automobile assume la fisionomia architettonica della colonna, da sempre simbolo del patibolo, da cui l’uomo si sente visivamente e spazialmente schiacciato”.
‘Il primo like”, tra le opere più recenti del Pigliacelli, realizzata nel 2022, è invece un’emblema dei giovani contemporanei troppo spesso schiavi della continua ricerca di approvazione che, sui social network, si manifesta in tutta la sua crudezza con la ricerca spasmodica di like. Come una moderna ‘Eva’, nell’Eden digitale, l’adolescente viene tentata dal serpente a ‘nutrirsi’ di like”.


La pittura come arma di provocazione
La pittura di Cesare Pigliacelli diventa arma di provocazione contro l’azione livellante dei mass media nei confronti delle capacità intellettive, ideologiche e sociali dei consumatori. Facendo uso di strumenti affilati, tanto quanto quelli del marketing, l’artista si avvicina al linguaggio ‘perfetto’ delle immagini patinate entrando quasi in competizione con il gigantismo, l’onnipresenza e l’onnipotenza del messaggio commerciale, mettendo in luce e in discussione le contraddizioni che questo produce. In una continua corsa all’esagerazione, l’uomo contemporaneo ne esce sconfitto, alienato, costantemente bombardato dalla possibilità di scelta, ma di fatto non libero di scegliere nulla se non ciò che gli viene imposto dal mercato.
In ‘Crocefissione’, del 2012, (Foto 1) “Si assiste al sacrificio dell’essere contemporaneo: l’uomo messo in croce, in cui le sembianze del Salvatore sono quelle del pittore stesso; è l’uomo comune e le sue colpe sono quelle di tutta l’umanità”.
Con ‘Ean code’, del 2015, (Foto 2) “Tutto il pathos della crocifissione è racchiuso nel close-up su una mano trafitta da un codice a barre che come un chiodo lascia sgorgare una goccia di sangue. […] ci suggerisce un tentativo di ribellione all’inarrestabile “macchina” del consumismo che sembra dettare, con ritmo accelerato e confuso, la regia della nostra epoca”.
In ‘Medusa’, del 2012, (Foto 3) “Il pittore si ritrae nel momento dell’urlo, scaturito dall’inattesa consapevolezza che “IL CAPITALISMO NON SI RIGENERA PIÙ, MANGIA SE STESSO”. […] Questo sentimento di malessere non è esclusivo dell’animo dell’autore ma elevato a simbolo del dramma collettivo dell’angoscia e dello sgomento”.



Lo sguardo si amplia sulle tragedie del nostro tempo con ‘La Zattera’, del 2016, (Foto 1) che racconta i viaggi dei migranti, i drammi in mare ai quali ogni giorno assistiamo attraverso i Media; La Zattera “Racconta la dolorosa situazione di coloro che sono così disperati da mettere se stessi e le proprie famiglie in pericolo affrontando anche l’ignoto. Come un moderno Géricault, l’artista mette in scena la tragedia contemporanea rievocando il ruolo primitivo della pittura, quello di raccontare il presente”.
In ‘Questo è il mio corpo’, opera del 2013, (Foto 2) “L’essenza del pane e quindi – come vuole la dottrina cattolica
della transustanziazione – del corpo di Cristo, trasmuta in un panino dei fast food che l’artista assurge in modo provocatorio a quel pane quotidiano che espia i nostri peccati”. Attraverso una colorazione e uno stile mutuati dall’estetica della réclame, l’hamburger appare perfetto, succulento e invitante proprio come il cibo immortalato
nelle foto o proposto negli spot televisivi e che in realtà sappiamo bene non esistere. Una provocazione sottile e tagliente come l’arte del Pigliacelli.
E, ancora, ‘Non siamo soli’, dello stesso anno (Foto 3) “Smaschera quell’atteggiamento onnipotente secondo cui l’uomo confida esclusivamente in se stesso, unico in terra, unico nell’universo”; Il ritratto di un papa – altra rivisitazione di un caposaldo della storia dell’arte – non a caso un papa mediatico come Giovanni Paolo II, incarna quel senso di impotenza che ci attanaglia. Deluso e rassegnato dal destino dell’umanità, ci volta le spalle e diventa il protagonista di un paradossale contatto con entità extraterrestri.
“L’arte doppia il mondo, lo trascrive, lo completa e ci salva portandoci oltre il vissuto e aprendoci a nuove configurazioni del reale in anticipo sui tempi. – Dice Cesare Pigliacelli – Chi si ferma, o almeno comincia a considerare una diversa prospettiva, non è perduto ma, al contrario, è sulla buona strada.


