Pino Scotto, folgorato da Elvis e amico di Lemmy: ecco lo spirito libero del rock italiano

L'icona del rock italiano si racconta: quando si è esibito in Ciociaria, i suoi progetti, la sua carriera. E non risparmia chicche e stoccate

Le anime rock le riconosci dalle vibrazioni. E quella di Pino Scotto ne emana così tante da far tremare ogni palco che calca, ogni schermo che lo inquadra nei suoi dibattiti sempre sospesi tra musica e sociale. Pino Scotto è un artista poliedrico, noto in tutto il Paese e oltre grazie ad una carriera ultra-quarantennale. Carismatico e grintoso singer dalle marcate influenze blues, dotato di una voce profonda e graffiante, rappresenta la migliore incarnazione della figura del rocker mai apparsa in Italia. Ma Pino è prima di tutto un operaio, uno di quelli che per 35 anni ha lavorato in fabbrica, uno di quelli che non ha svenduto mai la sua musica e il suo groove. Il cosiddetto ‘Dio denaro’ con Pino casca male. “Meglio spaccarsi la schiena con il lavoro ed essere libero di scrivere e produrre ciò che si vuole e non diventare la marionetta al soldo di qualcun altro” deve aver pensato nella sua lunghissima e prolifica vita artistica. Lo ‘Scotto da pagare’ – è proprio il caso di dirlo – per lui è solo il flusso della propria coscienza e delle proprie capacità. Conosciuto a tutti per essere stato il frontman di band come Pulsar, Vanadium e Fire Trails, diventando così il precursore dell’heavy metal in Italia, Pino vanta anche molti anni da solista, tante collaborazioni importanti nonché l’attività in prima persona nel campo della solidarietà, al fianco soprattutto dei bambini nei Paesi poveri. E in questo variegato mondo riesce ad inserire le sue conduzioni su Rock Tv – “senza prendere un euro”, ci tiene a sottolineare, “con la speranza che alle nuove generazioni arrivi un messaggio positivo” – e la chicca attoriale nel film horror indipendente Extreme Jukebox nel ruolo di Don Zappa, un prete rock ‘n’ roll. Sfrontato, sincero, cristallino e senza filtri, non nasconde idee e vena polemica. Quando si tratta di riconoscere un genio lo fa, quando si tratta di dire che un prodotto è scadente, non ci gira intorno. E così, in un passato anche piuttosto recente, il ‘Pino nazionale’ è stato ospite in Ciociaria, dove ha intrattenuto i fan con un concerto ad Isola del Liri con i Rezophonic e con un’altra esibizione in un locale di Sora. “Io sono meridionale dentro, nell’anima, nel cuore, nel sangue e l’accoglienza che ho trovato in provincia di Frosinone è stata meravigliosa, calorosa”, spiega il cantautore. Personalmente, non ho saltato l’appuntamento, e mi sono gustata i ritmi e la simpatia verace di una vera e propria icona rock, alla vecchia maniera. Così ho provato ad intervistarlo e quando ho ricevuto il suo sì…beh, ho pensato “vai e bring it on home“, come avrebbero detto i Led Zeppelin…

Uno spirito libero folgorato dal Elvis

Alla mia domanda su come definirebbe se stesso – cantautore, conduttore, attore – ecc, lui risponde senza indugi: “Pino Scotto è soprattutto un operaio, uno che fin da piccolo sognava di fare musica ma non sarebbe mai sceso a compromessi. Mi definisco appunto un operaio della musica. Sono nato in un piccolo paesino in provincia di Napoli, Monte di Procida, e spesso con i miei coetanei 15enni ci riunivamo nella bottega di un nostro amico barbiere, poco più grande di noi. Ascoltavamo i dischi, quelli che passava il convento. All’epoca sentivamo Rita Pavone, Gianni Morandi, Celentano fino a quando un altro nostro amico marinaio ci portò un vinile di Elvis Presley. Ricordo che rimasi folgorato dal brano Jailhouse Rock. Comprai allora l’intera discografia del Re del rock’n’roll. Arrivarono quindi i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin, i Deep Purple, gli Ac/Dc (soprattutto quelli con Bon Scott) e gli altri. Questo ha segnato il mio percorso. A 17 anni fuggii dal paesello, andai a Napoli intenzionato a vivere di musica. Abitavo in un buco, ero spaventato e con me avevo solo sogni. Fondai una band di cover, soprattutto di blues e rock psichedelico, ‘Gli Ebrei’, un nome scelto per sfida, per provocazione e suonavamo nei locali. Capii presto che dovevo trovarmi un lavoro ‘normale’ per coltivare la passione. Poi andai a fare il militare a Milano e lì sono rimasto. Per 35 anni sono stato in fabbrica e parallelamente facevo musica, la mia musica. Non quella decisa da qualcun altro. Poi sono venuti i Pulsar, i Vanadium, i Fire Trails e i miei lavori da solista. Ho tirato fuori 23 album, l’ultimo lo scorso aprile Live n’ Bad. E in progetto c’è un nuovo lavoro, una produzione blues“.

Live n’ Bad

L’ultimo disco targato Pino Scotto si compone di 17 tracce per 74 minuti di musica “figlio della filosofia minimalista che mi contraddistingue. Ho voluto che suonasse come un vecchio bootleg degli anni Settanta. In presa diretta, senza maschere, senza trucchi”, spiega l’artista. I suoi testi, invece, sono sempre quelli di un “operaio incazzato, incazzato con i sindacati, la fabbrica, che sciopera per i propri diritti. Ma non solo. Si parla anche di tematiche quanto mai tristemente attuali come il bullismo e la violenza sulle donne”.

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La formazione musicale e la ‘band guida’

“Sicuramente una delle band che maggiormente ha influenzato la mia produzione musicale è quella dei Led Zeppelin. Quella di Robert Plant è tra le voci che preferisco – prosegue il cantante -. Certo, ce ne sono altre favolose, molte altre, come l’immortale Freddie Mercury, Glenn Hughes, Ian Gillan, Ronnie James Dio, Paul Rogers. Io ho imparato soprattutto suonando questo genere di cover. Ed è quello che consiglio ad un ragazzetto e una ragazzetta che vogliano avvicinarsi alla musica: partire dal blues, dal rock e fare scuola con le cover di band storiche. Sacrificio e umiltà. Ai miei tempi ci sono stati grandissimi gruppi: tutto il filone rock anni ’70 fino a metà anni 80′ è stato magico in ogni sfaccettatura, dall’hard rock al rockabilly, dal rock’n’roll al prog. Voglio infatti fare un inciso sui Genesis, i quali nel periodo con Peter Gabriel, hanno tirato fuori dischi-capolavoro, inarrivabili”. Ma a quel tempo il panorama era così vasto, aggiungo io che qualcuno dimentica gruppi sottovalutati come Grand Funk, Foghat o Steppenwolf e gli chiedo cosa ne pensi a proposito. Pino è un fiume: “Specialmente i Grand Funk sono…mitici! Ho tutti i loro lavori, anche quelli da solista del cantante-chitarrista Mark Farner, li ho visti dal vivo a Milano negli anni ’70 e sono davvero tra i miei preferiti. Gli Steppenwolf hanno una discografia più ridotta ma mi spiace che molti li colleghino solo a ‘Born to be Wild’. Anche loro hanno fatto cose buone”.

La musica in Italia: l’epoca dei ‘gruppetti’ e della decadenza

Incalzo Pino con la mia critica all’attuale panorama musicale italiano, dove salverei ben poco e tra questi ‘fortunati’ non metterei di certo i tanti artisti o pseudo tali che vanno per la maggiore. Gli chiedo cosa ne pensa allora degli acclamati Maneskin e dei trapper: “La trap è il punto più basso della storia della musica italiana. Questi ragazzini fanno musica tremenda, non parliamo poi dei testi: sono ancora peggio. I Maneskin sono stati fortunati. Un gruppetto come tanti altri, neppure più in gamba di alcuni colleghi, bravini ma che non hanno nulla di diverso dagli altri, se non un agente alle spalle furbo, veramente bravo e capace, che è riuscito a prendere qualcosa di anonimo trasformandolo in oro…La cosa più buffa è che è riuscito a farlo a livello nazionale e internazionale! Una macchina da soldi…ma la vera musica, quella fatta con il cuore, con l’anima, con libertà di espressione, non esiste più. Ad oggi mancano la personalità, l’originalità. A livello tecnico abbiamo tanti musicisti bravi grazie all’implemento delle scuole, ma oltre la capacità di fare le scale più veloci non c’è altro in loro. Di combattenti in Italia ne sono rimasti pochi, tra questi Giovanni Lindo Ferretti, Bianconi e l’artista ‘nostrano’ che stimo più di tutti, Michele (Caparezza n.d.r.), autentico, pulito, talentuoso, con sentimenti veri e con lui ho anche inciso ‘Gli arbitri ti picchiano’“.

La vecchia guardia e l’amicizia con Lemmy

Ho fatto tournée con gli Iron Maiden, gli Ac/Dc, con i Deep Purple, i Black Sabbath, gli ZZ Top, ne ho conosciuti di meravigliosi artisti internazionali – il racconto di Scotto si fa sempre più affascinante -. Quello che più mi ha colpito per la sua purezza è stato Lemmy Kilmister dei Motorhead. Con questi ultimi ho fatto due tour e quando Lemmy è morto, per me se ne è andato un fratello. L’amicizia che ci legava, la stima reciproca mi hanno lasciato il ricordo di una persona di una caratura immensa. È stato un duro colpo perderlo. Dopo la sua morte è avvenuto il mio cambiamento, sul quale ha anche influito moltissimo vedere già in precedenza lo stesso Lemmy conciato male, con la bombola dell’ossigeno e il bastone, l’ultima volta che abbiamo suonato insieme all’Ippodromo di San Siro. Mi si sono ghiacciate le vene, in quel momento. Dopo 50 anni ho messo uno stop a qualsiasi eccesso, di ogni specie”. Della vecchia guardia qualche gruppo resiste ancora ma è molto diverso da come era nei tempi migliori, così ho chiesto a Pino cosa ne pensi dei ‘survivor’ del genere e delle nuove uscite di Rolling Stones e Beatles sul mercato: “Ho ascoltato ‘Sweet Sound Of Heaven’, il nuovo singolo dei Rolling Stones con Lady Gaga e Stevie Wonder, così come ho ascoltato ‘Now and Then’ dei Beatles…sarebbe roba carina, non male se fosse stata fatta da esordienti, ma qui parliamo di mostri sacri. Geni che purtroppo non hanno niente a che vedere con la loro stessa produzione di un tempo, mi dispiace. Io li conosco da quanto sono piccolo e li ho sempre amati alla follia, oggi non sono paragonabili a ciò che erano”. Gli chiedo di altri nomi come Guns N’ Roses, Metallica, Rammstein, Pantera e Scotto risponde così: “Al di là dei Guns che si sono riuniti dopo le varie battaglie tra Axl che usava il nome della band e Slash, il quale asseriva non ci avrebbe più suonato insieme per poi riunirsi solo per un motivo, il denaro, gli altri sono anni, a mio avviso, che si ripetono su quanto di buono fatto prima. I soldi li hanno. la gente li va ancora a vedere e a loro sta bene così. Quando si deve battere cassa, l’arte viene dopo, così come quella libertà che invece io adoro e predico, ancora oggi, a perdifiato”.

Il supergruppo ideale di Pino Scotto

Questo un ideale supergruppo con Pino Scotto alla voce, secondo lo stesso rocker: “Vorrei Zakk Wylde dei Black Label Society alla chitarra, Billy Sheehan dei Mister Big al basso, Mike Portnoy dei Dream Theathre alla batteria perché oltre alla grande tecnica possiede un groove unico. Le tastiere non le voglio, dopo Jon Lord in pochi possono essere considerati all’altezza. Non vorrei neppure una seconda chitarra, nelle mie band non l’ho mai avuta, se un chitarrista è bravo basta lui e Zakk Wilde vale per tre”.

Pino Scotto e il sociale

Nella sua lunga militanza sulla scena rock Pino ritaglia del tempo per sensibilizzare gli altri sull’importanza della solidarietà, un sentimento che troppo spesso oggi è riposto nel dimenticatoio e che in pochi decidono di rispolverare. Con la dottoressa Caterina Vetro ha dato vita al progetto Rainbow per aiutare i fragili, i deboli, soprattutto i bambini, l’emblema della purezza: salvare loro equivale a salvare il mondo intero. “Siamo riusciti a fare un piccolo ospedale a Cobán per i bambini della discarica in Guatemala, abbiamo realizzato una scuola di musica in Belize, piccole cose. Lì ci sarebbe bisogno di un oceano di soldi per aiutare, c’è una situazione disastrosa, i ragazzini sono costretti a lavorare nelle discariche piuttosto che andare a scuola per far mangiare la famiglia – ci racconta il cantautore -. Il mondo fa schifo. E la politica se ne frega della gente che muore di fame, anche da noi. Non c’è giustizia. Mio nonno mi diceva sempre, quando parlava di queste persone: ‘Ma sta gent e mmerd o’ sann c’hanna muri?’, credo si capisca bene il significato ed è ciò che riflette il mio modo di pensare. Se tutti ci rendessimo conto di questo, sicuramente ci sarebbe uno spirito di aiuto reciproco diverso. E tutti camperemmo molto meglio in questo viaggio che è la vita”. Non poteva concludere meglio Pino Scotto, con la sua verve senza tempo e la grinta di un leone con ancora chilometri di savana da percorrere.

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Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli, giornalista pubblicista, specializzata in sport ma con una passione anche per musica, cinema, teatro ed arti. Ha collaborato per diversi anni con il quotidiano Ciociaria Oggi, sia per l'edizione cartacea che per il web nonché con il magazine di arti sceniche www.scenecontemporanee.it. Ha lavorato anche come speaker prima per Nuova Rete e poi per Radio Day, e presentatrice di eventi. Ha altresì curato gli uffici stampa della Argos Volley in serie A1 e A2 e del Sora Calcio.

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