Sir Hugo Coal non è mai stato un filantropo. Anche quando non vegetava sulla sedia a rotelle, aveva la tendenza a considerare gli esseri umani meno comprensibili ed eleganti dell’enorme scheletro di sauro che andava pazientemente ricostruendo. Ma quello che vede ora, nella sua villa, nei rari momenti in cui i suoi familiari non lo costringono a fissare una parete, gli piace anche meno. È chiaro che Fledge, l’ambiguo maggiordomo, sta ordendo una sua trama assai sinistra. Di quella trama la moglie, la figlia e sir Hugo stesso, fanno più o meno consapevolmente parte. Quel che è meno chiaro è in che modo sir Hugo possa usare l’unica arma peraltro letale – che gli resta, il suo “sguardo fisso di lucertola”.
Grottesco (The Grotesque) è un romanzo del 1989, esordio dell’autore inglese Patrick McGrath.
Un ‘Grottesco’ molto gotico e noir
Con ‘Grottesco’, Patrick McGrath sfodera una struttura profondamente gotica, tra lugubri sinfonie nell’atmosfera cerea della fatiscente magione dei Coal. La brughiera, i miasmi della palude su cui si affaccia la tenuta, l’inquietante maggiordomo Fledge: tutto contribuisce a tessere un’atmosfera da noir, tenuta però insieme dal collante di un sarcasmo british e pungente. Rumori strani, il vento che sferza l’umida dimora, la nebbia, elementi che innescano la miccia dell’ansia in ogni lettore.
L’ambiguo gioco tra verità e dubbio
L’autore riesce, con sorprendente abilità, a penetrare quella psiche umana che sembrava così imperscrutabile. Attraverso una trama intricata e intrigante, ci viene instillato il dubbio sulla veridicità di quanto raccontato. I fatti sono al limite del paradosso, come il grottesco impone. Sogni e realtà, normalità e follia si sposano in un ‘ambiguo matrimonio’. Sbattuti in quel confine sottile tra reale e fantastico. Il ‘Nil desperandum’ del protagonista sembra voler rimettere sempre ogni cosa in discussione perché, alla fine, per McGrafth vince l’amor del dubbio. Siamo di fronte ad un giallo inquietante, in cui il male serpeggia infestando tutto come un virus, in cui prima o poi le maschere di normalità sono destinate a sbriciolarsi, in cui ogni sensazione, dalla compassione per Sir Hugo alla antipatia per il maggiordomo, restano intrappolate, destinate a far sorseggiare un calice amarissimo a chiunque divori le pagine di questo libro. Non c’è pace, per nessuno, neppure per l’audace lettore, invischiato in una storia surreale e macabra. Non sempre quello che è sembra. E non sempre – ovviamente – quello che sembra è. Non sai mai chi è il carnefice e chi la vittima. Lo scrittore sa bene come irretirti, affascinarti e lasciarti con un senso di incompiuto, perché è esattamente dove vuole condurti.
Un labirinto da cui non si esce
Fino all’ultimo pagina di ‘Grottesco’, non riusciremo mai a stabilire se ci si debba fidare fino in fondo di quanto ci racconta. Anche una volta lette le ultime parole, non potremo renderci conto se siamo usciti dal labirinto del suo rimuginare, o se ci siamo rimasti ineluttabilmente incastrati. Una rassegna di caratteristiche ampollose, ognuna a modo suo, dalla meschinità all’ottusità, dalla sensibilità alla diabolicità, da una lealtà inintelligibilmente tetragona all’enigma pretestuosamente aristocratico. Chiuso il volume, ci si interroga ancora una volta sulla ‘beffa’ non risolta davvero.
Forbito ma scorrevole
L’intera opera è narrata in prima persona dal misantropo protagonista con meccanismi complessi risultando, allo stesso tempo, scorrevole. Lo scrittore usa termini forbiti e ricchi di erudizione mentre tratteggia magistralmente i suoi personaggi. Anche le parti descrittive non annoiano mani, facendo restare il lettore intrappolato a mani legate in un clima di inquietudine e mistero. Il ritmo è brioso e ‘Grottesco’ resta impresso per essere una specie di sontuoso ibrido tra il gotico e la black comedy, con il suo incedere fulminante. Pagini surreali ma che sono anche un viaggio nella psiche umana, un viaggio impreziosito da un’aurea filosofica. Mai banale, assolutamente consigliato.