Django, molto più di uno spaghetti-western: l’omaggio dello ‘scatenato’ Tarantino al genere e a Corbucci

Tarantino si libera dalle catene per scrivere e dirigere la sua personalissima epopea western a metà tra Corbucci, Leone e il blaxploitation

Texas, 1858. Lo schiavo di colore Django (Jamie Foxx) viene liberato dall’ex dentista tedesco King Schultz (Christoph Waltz), ora cacciatore di taglie, che ha bisogno di lui per riconoscere tre criminali che sta cercando. Fra i due nasce una sincera amicizia, per via della quale Schultz decide di aiutare Django a perseguire il suo più grande desiderio, ovvero liberare la moglie Broomhilda (Kerry Washington), tenuta prigioniera dal ricco proprietario terriero, il mefistofelico Calvin Candie (Leonardo DiCaprio). Schultz e Django raggiungono così Candyland, l’imponente tenuta in cui risiede il villain, con l’obbiettivo di ottenere attraverso l’inganno la libertà di Broomhilda dal malvagio schiavista. Il finale sarà…pirotecnico!

La rivisitazione del genere western

Nessun tribunale della Santa Inquisizione potrebbe condannarmi se ora affermassi, con certezza assoluta, che Quentin Tarantino è annoverabile tra i più grandi scrittori di cinema, non viventi, attuali o qualsiasi altra categoria-contenitore vogliate, ma di sempre. Con Django Unchained ci troviamo di fronte un altro capolavoro di quel teppistello del Tennessee che, nonostante l’età fosse ormai matura (era il 2012), ancora è capace di regalare momenti di puro spasso ineluttabilmente miscelati a sequenze di vivido terrore e profondo smarrimento. Perché Django riflette la sua stessa idea di settima arte: con coerenza e rispetto è di nuovo il cinema stesso a farla da padrone, con quel discorso metacinematografico che palesa tutto l’amore e la passione per ogni genere, anzi, per la commistione di generi, per la loro contaminazione, vera ars poetica tarantiniana.

Se lo spunto di partenza è ovviamente lo spaghetti-western, in particolare quello di Corbucci, con notevoli incursioni nella cosmologia leoniana, non manca quel continuum di citazionismo e feticci che trova un luminoso riverbero in ogni sequenza. Inutile star qui ad elencare gli omaggi di cui Django è permeato in ogni sua piccola particella, da Griffith alla blaxploitation, dal metateatro a tutto quel mondo autoreferenziale di cui è costellata l’estetica tarantiniana. Molto meglio dare spazio a ciò che raccontano le immagini, all’epopea di Django, schiavo liberato da un cacciatore di taglie e alla ricerca della moglie vigliaccamente sottratta al suo amore. E la violenza fisica e verbale del regista americano non resta fine a se stessa. Mai come in questo caso ha una specifica connotazione politica e sociale e la volontà di descrivere i soprusi perpetrati per intere decadi verso le persone di colore. Django diventa così il simbolo del riscatto degli oppressi, che riescono a liberarsi dalla loro condizione e a confrontarsi alla pari con coloro i quali li sopraffacevano.

Un cast stellare

Grandiosamente interpretato, primeggia su tutti l’impagabile Christoph Waltz, in un ruolo che poteva essere solo il suo. Tarantino ha trovato nell’attore austriaco la corporeità del proprio linguaggio: è quasi come se si guardasse allo specchio dicendo lui quelle battute, regalando lui quelle sfumature interpretative e si compiacesse da matto nel farlo. Prova superata a pieni voti anche per il villain Leonardo Di Caprio e lo stesso protagonista Django/Jamie Foxx, che se non fossero stati affiancati da due mostri come Waltz e il cattivissimo Samuel L. Jackson, di sicuro sarebbero emersi in maniera diversa. Personaggi dalla personalità accuratamente tratteggiata dalla penna di Tarantino che anche stavolta, come in Bastardi senza gloria, si fa portavoce degli oppressi cui regala un sogno, un sogno realizzato con la sua solita, impeccabile, cifra stilistica. Dialoghi affascinanti, fotografia e scenografia ineccepibili, contribuiscono alla riuscita del lungometraggio più lineare – temporalmente parlando – di Tarantino, il quale ci delizia anche con un cameo, quasi un gioco di prestigio oserei definirlo. Nella sua rivisitazione del genere fa un utilizzo esibito dello zoom come andava di moda proprio negli anni settanta, c’è la presenza massiccia di Ennio Morricone nella colonna sonora (con un inedito cantato da Elisa) e, ovviamente, risuona Luis Bacalov (la corbucciana “Django” nei titoli di testa). Una pellicola da godere, ove non manca quella comicità che riesce ad alleggerire spassosamente un sottotesto politico impegnativo. Tarantino si riconferma davvero l’amante ideale, passionale, sorprendente e – soprattutto – non tradisce mai. Scusate la battuta, ma come affermerebbe King Shultz: “Non ho saputo resistere!”

Dettagli

  • Titolo originale: Django Unchained
  • Regia: Quentin Tarantino
  • Genere: Western
  • Fotografia: Robert Richardson
  • Musiche: AA. VV.
  • Cast: Christoph Waltz, Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Samuel L. Jackson, Kerry Washington, Don Johnson, Franco Nero, Tom Savini, Zoë Bell, Quentin Tarantino, Walton Goggins
  • Sceneggiatura: Quentin Tarantino
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Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli
Cristina Lucarelli, giornalista pubblicista, specializzata in sport ma con una passione anche per musica, cinema, teatro ed arti. Ha collaborato per diversi anni con il quotidiano Ciociaria Oggi, sia per l'edizione cartacea che per il web nonché con il magazine di arti sceniche www.scenecontemporanee.it. Ha lavorato anche come speaker prima per Nuova Rete e poi per Radio Day, e presentatrice di eventi. Ha altresì curato gli uffici stampa della Argos Volley in serie A1 e A2 e del Sora Calcio.

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