Dopo una carriera come documentarista e giornalista, Sacha Gervasi nel 2012 decide di prendere il treno della narrazione, e lo fa timbrando il biglietto presso una stazione particolarmente densa di brivido e storia. Il regista britannico porta sul grande schermo la figura di uno dei nostri – posso prendermi il lusso di dirlo e son sicura che nessuno contesterà – autori preferiti. Signori e signore, a voi il maestro del brivido, “Hitchcock”.
Basato sul saggio di Stephen Rebello Come Hitchcock ha realizzato Psycho (Alfred Hitchcock and the Making of Psycho), il film è incentrato sul rapporto tra il regista Alfred Hitchcock e sua moglie Alma Reville durante la lavorazione del film Psyco (1960), partendo dalla storia dell’assassino Ed Gein, che ha ispirato il personaggio di Norman Bates, fino alla distribuzione della pellicola nelle sale cinematografiche nel 1960.
La trama
In un momento decisivo per la propria vita artistica e personale, Alfred Hitchcok (uno straripante e imbolsito Anthony Hopkins) si appassiona al romanzo Psycho di Robert Bloch, passato però in sordina per gli scabrosi temi trattati. Decide così di cimentarsi in questa nuova avventura cinematografica, non senza l’appoggio affettivo e professionale di sua moglie Alma (una bravissima e raffinata Helen Mirren). Dalla loro unione nascerà quel thriller inquietante che segnerà per sempre l’anima profonda della settima arte.
Al biopic prende parte anche la bellissima Scarlett Johansson, la quale però non fa altro che mostrare le notevoli grazie, accompagnata nell’intento dall’altro grazioso faccino della Biel. Se invece c’è qualcuno, dopo la coppia Hitchcock, che merita menzione, quello è sicuramente James D’Arcy nella parte di Anthony Perkins.
Il ritratto di Hitchcock
Il ritratto che viene fatto del cineasta è quello di un genio, a suo modo bizzarro, folle, ma anche facilmente propenso all’umorismo. Ma anche di un uomo ossessivo, perseguitato dai suoi fantasmi e dai suoi assassini, ma soprattutto sopraffatto dall’ideale della “bionda alla Hitchcock”, ossia il prototipo di donna che cui il regista optava sempre nelle sue pellicole: che fosse Grace Kelly, Kim Novak o Janet Leigh, le sue attrici finivano sempre in foto sulla sua scrivania, vero e proprio assillo di una moglie devota fino all’annullamento di sé, che minaccia di abbandonare il marito proprio nel momento di maggiore difficoltà della sua carriera.
Buone premesse, peccato il finale
Psycho è così un film di coppia, un figlio dall’abbraccio malato, e forse per questo ancor più desiderato, amato. E come è esso stesso il prodotto di un’unione profonda, il lungometraggio Hitchcock indaga le dinamiche di tale rapporto, cercando di sviscerarlo per portarne alla luce la vera essenza: una fragilità che affrontata in due si trasforma nella carta vincente. Il ruolo di marito e regista, il compenetrarsi di queste due categorie, che trovano il collante solo nell’amore della Reville, vengono portate in scena con lo scopo di smitizzare anche un po’ la figura dell’autore londinese, con delle progressioni divertenti, ma spesso non appieno convincenti. Pur senza difettare di leggerezza, la pellicola manifesta le falle più evidenti proprio le poche volte che vuole indossare abiti propriamente ‘hitchcockiani’: il cinema nel cinema dei/nei sogni, le fantasie e i desideri del protagonista rendono irrisolto quel vortice che lega realtà e finzione. Ma, grazie anche alla stratosferica accoppiata Hopkins-Mirren, le schermaglie sentimental-professionali restano squisite e alcune passaggi sull’industria cinematografica molto divertenti. Lo stile di Gervasi è piuttosto avvezzo alle regole classiche del racconto, pur indulgendo in alcune sequenze meta-cinematografiche e oniriche che ci fanno esplorare i meandri della testa del Maestro del Brivido restituendone però solo una piccola parte. Una nota stonata nel film che cede – suo limite più grande – nell’indagare le turbe del grande regista. La sceneggiatura pecca nei passaggi decisivi, lasciando molto alla cultura personale dello spettatore circa la vita di Hitchcock e mettendo nell’angolo quella sana dose di simbolismo, vitale per lo stesso protagonista. Perché se le premesse ci son tutte, il risultato complessivo non è quello che ci si aspettava. Una pellicola piacevole, una regia ben confezionata, le musiche cariche di pathos di Danny Elfman, ma nonostante tutto non ti resta addosso, causa – anche – del finale un po’ goffo. Da vedere sul divano per una serata in relax ma senza troppe pretese.
Dettagli
Titolo originale: id.
Regia: Sacha Gervasi
Sceneggiatura: John J. McLaughlin
Fotografia: Jeff Cronenweth
Cast: Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, Jessica Biel, Toni Collette, Danny Huston, Michael Wincott, James D’Arcy, Michel Stuhlbarg