Sanità da incubo, l’odissea quotidiana nel centro prelievi dell’ospedale di Sora – LO SPECIALE

Una mattinata in uno dei nosocomi più importanti della provincia per consegnare un campione al laboratorio analisi. Ecco cosa abbiamo trovato

Sora – Un’intera mattinata in fila, assiepati come bestie, in una sala d’attesa o tra i corridoi di quello che dovrebbe essere un luogo di cura e premure. Ore ed ore ad aspettare per poter eseguire banalissimi esami del sangue di routine. Anziani, persone malate, pazienti oncologici, a nulla servono le priorità o gli sportelli per le emergenze se di priorità ed emergenze ce ne sono a decine in poche ore. Accade a Sora, nel centro prelievi dell’Ospedale Santissima Trinità. Quelle alle quali quotidianamente gli utenti devono far fronte sono situazioni che nulla hanno a che vedere con un paese civile. Scene che si ripetono ogni giorno, ormai da mesi. Più precisamente, da quando è stato ripristinato l’accesso diretto eliminando la possibilità di prenotare tramite ReCUP. A seguito della fine dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19, infatti, la prenotazione delle analisi del sangue non è più prevista e, così, ora ci si mette in fila, prendendo permessi di lavoro per intere mattinate perché è impossibile stabilire quanto si dovrà attendere per il proprio turno.

Dopo aver ricevuto numerose segnalazioni da parte di utenti indignati e di personale sanitario esasperato, siamo andati a vedere cosa accade in una giornata tipo nel centro prelievi di uno dei nosocomi più importanti della provincia.

Un’odissea quotidiana

È una mattinata di ottobre. Arriviamo nella struttura poco prima delle nove. La persona che accompagniamo è una donna che, a seguito di accertamenti richiesti da uno specialista, deve consegnare un campione per una coprocoltura. Dunque, per lei nessun prelievo ematico ma, nonostante ciò, anche solo per consegnare un campione deve mettersi in coda ed attendere con tutti gli altri. Non essendo la sua un’emergenza e non avendo alcuna priorità, occorre prendere il numeretto ed attendere. “E100”, davanti a noi almeno altre 60 persone di ogni età. Qualcuno è in attesa già da oltre un’ora.

Ciò che più colpisce è la pazienza, o forse sarebbe più giusto definirla rassegnazione, degli anziani che, a causa della scarsa disponibilità di sedie, si accomodano a turno per far fronte alla stanchezza. Per gli esami del sangue, notoriamente, bisogna recarsi presso il centro prelievi a digiuno dalla sera prima e, in particolar modo per gli anziani ed i pazienti fragili, attendere tre o quattro ore può essere fortemente debilitante.

Le operazioni procedono particolarmente a rilento. Nelle circa tre ore di attesa alle quali ci tocca far fronte, capiamo che quella lentezza è da attribuire principalmente a due cause. Da una parte le due addette allo sportello hanno a disposizione mezzi di lavoro piuttosto obsoleti: connessione ad internet poco performante, un solo POS per i pagamenti, un dispositivo elettronico per stampare le etichette da apporre sui campioni che impiega dai tre ai quattro minuti per estrarle. Non va meglio quando bisogna stampare la ricevuta fiscale. La media per gestire ogni utente, quando tutto va bene ed i sistemi non si bloccano come spesso accade, va dai 10 ai 15 minuti. Tempi biblici se si moltiplicano per le centinaia di utenti che ogni giorno, armati di santa pazienza, si recano al centro prelievi.

La seconda causa che determina la lentezza del servizio è ancor meno edificante ed è legata alla serietà di chi, da dietro quei due sportelli, offre, o meglio dovrebbe offrire, un importante servizio alla collettività. In quelle interminabili ore di attesa abbiamo potuto più volte constatare, non senza un velo di rabbia e indignazione, che una delle addette allo sportello facesse passare diversi minuti prima di chiamare il numeretto successivo tra un utente e l’altro. In quei minuti, che per chi era in attesa da ore sembravano interminabili, utilizzava uno smartphone. Qualora, senza voler pensar male, si fosse trattato di uno strumento aziendale, sarebbe comunque opportuno dare precedenza a chi è in attesa del proprio turno e sbrigare altre incombenze in un secondo momento. Rallentare una fila già interminabile, anche se solo per qualche minuto, non fa altro che accumulare ulteriore ritardo su una tabella di marcia a dir poco pietosa.

Difficile ritenere normale che centinaia di persone, ogni giorno, siano costrette a raggiungere uno dei principali ospedali della nostra provincia sapendo già che verranno trattate come numeretti, senza alcuna dignità, in un paese “civile” ed in una delle regioni che tanto ha sbandierato interventi rivoluzionari sulla sanità. Una sanità che invece fa acqua da tutte le parti. E qui non parliamo delle infinite liste d’attesa per visite ed accertamenti o di Pronto Soccorso al collasso ma di un centro prelievi nel quale le cose dovrebbero funzionare più agevolmente, se solo qualcuno si degnasse di guardare in faccia la realtà.

Prestazioni NON a carico del SSN, importi salati ed esami “fai da te”

“E 100”: il turno della signora, intorno a mezzogiorno, è finalmente arrivato. Allo sportello ci informano che, escluse le tre prestazioni a carico del SSN, le altre sono interamente a pagamento. Per una l’importo da pagare è addirittura di 25 euro ed il referto non sarà pronto prima di 15 giorni. Due settimane per il risultato di un esame su un campione di feci. Sembra di essere su “Scherzi a parte” e invece stiamo giocando con la salute delle persone.

Ormai esasperata la signora paga il tutto, per un totale di 50 euro e 38 centesimi, e ci dirigiamo nell’ala preposta per i prelievi. Se avevamo pensato di aver visto abbastanza, ci eravamo sbagliati. La situazione nella seconda sala d’attesa è ancora peggiore. Tutte le persone che, oltre un’ora prima, avevano pagato sono ancora lì, ancora in attesa. Tra loro anche gli anziani ed i pazienti oncologici “con priorità”. Quando si parla di tagli alla sanità è anche a scene come questa che bisognerebbe pensare.

Quando chiamano di nuovo “E100” la signora entra e comunica di dover consegnare la provetta. L’infermiera guarda la prenotazione: “Ma lei deve fare cinque esami, le ha cinque provette di campione suddivise?”. Scende il gelo. Analogo discorso si ripete per un secondo utente entrato poco dopo. Nessuno era stato informato della necessità di una provetta per ogni esame. Ed è facile immaginare che, tranne pochi edotti, chi si appresta ad eseguire questo tipo di esame per la prima volta non è certo tenuto a saperlo. Chi doveva informare gli utenti? Il medico di base in primis, per cui il fallimento del “sistema” è doppio. E, magari, se ci fosse stata ancora la possibilità di prenotare, dal ReCUP avrebbero potuto fornire tutte le informazioni necessarie.

In ogni caso, l’epilogo per i malcapitati è stato analogo e poco piacevole: comprendendo la situazione, per evitare di mandarli via dopo tanta attesa, le infermiere si sono attivate per fornire loro le provette necessarie. In un bagnetto, utilizzato anche da tutti gli altri pazienti, poggiati su un lavandino, a turno, guanti alla mano, hanno dovuto optare per il “fai da te” suddividendo i campioni autonomamente. Pur di uscire il prima possibile da quella situazione da incubo, bisognava accettare anche questo. Ma davvero tutto ciò in un ospedale italiano può essere considerato normale?

Gli operatori sanitari sono allo stremo: “È così ogni giorno ed anche peggio”, riferiscono quando, increduli davanti a quello che ci è sembrato essere uno scherzo di pessimo gusto, chiediamo loro spiegazioni. “La gente poi ci aggredisce. La violenza fisica e verbale è deprecabile ma ci rendiamo conto di cosa devono sopportare? Vorremmo solo che si rendessero conto che anche la maggior parte di noi è costretta a sopportare e in silenzio, se si vuole continuare a lavorare”.

Dov’è finito l’impegno per la sanità del Lazio?

Da Febbraio 2023 Francesco Rocca è alla guida della Regione Lazio. Nel corso della sua campagna elettorale, l’ex presidente della Croce Rossa aveva fatto del rilancio della sanità del Lazio il suo cavallo di battaglia. Senza voler analizzare tutte le altre criticità – trattandosi di questioni che ci riserviamo di approfondire nel prossimo futuro – guardando a quanto emerso in questa situazione che, senza dubbio è comune a quella di tanti altri nosocomi della provincia di Frosinone e del Lazio, la domanda sorge spontanea: dov’è finito l’impegno per la sanità?

Pochi mesi, sicuramente, non bastano per rivoluzionarla ma i fatti dimostrano che le criticità, anziché migliorare, stiano peggiorando. Agli esponenti politici locali, “vecchi” e “nuovi” chiediamo se accetterebbero di mandare un loro caro in una situazione da incubo come quella documentata.

L’invito che rivolgiamo a chi ha ricevuto la fiducia degli elettori è quello di andare personalmente – e non nelle vesti di politico – nelle strutture ospedaliere della provincia; di provare ad essere utenti per un giorno. La realtà che si percepisce da dietro una scrivania può essere ben lontana dal comprendere l’orlo del baratro sul quale si trova la sanità pubblica regionale. E, al di là della casacca di appartenenza, i cittadini sono stufi di assistere a teatrini nei quali si accusa chi c’è stato prima o chi è arrivato dopo. Vogliono una sola cosa: il sacrosanto diritto alle cure. Il nuovo direttore generale della Asl di Frosinone, che auspichiamo venga nominato il prima possibile, senza ulteriori attese, avrà senza dubbio un bel da fare.

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Roberta Di Pucchio
Roberta Di Pucchio
Giornalista pubblicista

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